Intervento del Prof. Francesco Antonio Casavola (Presidente Emerito della Corte Costituzionale)
Commemorazione ufficiale del prof. Francesco Antonio Casavola (Presidente Emerito della Corte Costituzionale)
Signor Presidente della Repubblica,
Eccellenza Monsignor Arcivescovo di Capua,
Signor Sindaco di Bellona, Autorità civili e militari,
Familiari c concittadini dei 54 Martiri.
Il 7 ottobre del 1943 si consumava una rappresaglia dell’esercito nazista contro la popolazione civile di Bellona. Ne è causa non un atto di resistenza come accadrà a Roma per le Fosse Ardeatine, ma il gesto di due coraggiosi accorsi in aiuto di ragazze molestate da militari ubriachi. Uno dei giovani, che aveva tra le donne la sorella, per difendersi dalle armi da fuoco dei soldati, lancia una bomba a mano, ne uccide uno, ne ferisce un altro. Un piccolo episodio di vergognoso teppismo militare scatena una sproporzionata e disumana rappresaglia. Il paese è rastrellato scientificamente: dalle abitazioni e dalle cantine vengono snidati e catturati uomini di ogni età e condizione, vecchi, adulti, adolescenti, mutilati, malati, sacerdoti, religiosi, agricoltori, braccianti, manovali, operai, impiegati, artigiani, un sarto, un barbiere, studenti, professionisti, piccoli commercianti, un soldato di sanità, un sergente maggiore dell’Esercito, uno dell’Aeronautica, un vigile urbano, un vicebrigadiere dei Carabinieri, un sottotenente farmacista. Sembra di vedere in simbolo tutte le figure umane e sociali di una intera comunità. A costoro si aggiungono quanti temettero la minaccia, comunicata dal banditore pubblico su ordine tedesco, di uccisione delle donne e dei bambini e di incendio delle case, se non avessero lasciato i loro nascondigli e non si fossero spontaneamente consegnati. In più di trecento vengono racchiusi nella Cappella di San Michele e di li in gruppi di dieci portati ad intervalli di tre minuti e mezzo l’uno dall’altro a una cava di tufo. Qui mitragliati, i corpi precipitano nella cava profonda venticinque metri. Dopo cinquantaquattro esecuzioni, i tedeschi temendo reazioni, trattengono tre ostaggi e rimandano gli altri alle loro case. Brillamento di mine sigilla sotto terra i cadaveri delle vittime. A cinquantaquattro anni di distanza, perchè ancora ricordare? I nomi noti evocano sempre più debolmente le persone vive che li portarono. Di cinque delle vittime non restano neppure i nomi. E’ passato it tempo di due generazioni. Tra breve non resteranno neppure quelli che vissero da contemporanei quei terribili giorni del 1943. Scrive Borges una crudele verita: “Un uomo è veramente morto quando sarà morto l’ultimo uomo che lo ha conosciuto. Il ricordo di una persona umana è il ricordo di un vivo nella mente di un vivo”. Non è dunque la memoria di cinquantaquattro uomini che riusciamo a ravvivare e a tramandare, ma di un evento. E allora attenti a non alterare it significato dell’ evento, con generalizzazioni retoriche. Si usa chiamare in causa la belluina ferocia primordiale dei tedesehi. Benedetto Croce, che dettò l’epigrafe di Bellona, misura il distacco tra it popolo della Germania “una gente, creduta amica, nell’opera del civile avanzamento” e quei soldati nei quali “orrenda si è discoperta, armata di tecnica moderna, la BELVA PRIMEVA”. In realtà tra quei soldati, secondo le cronache di quei giorni, c’era ancora umanità se uno di loro, un austriaco, libera uno dei eondannati a morire, che aveva conosciuto due anni prima studente, chiedendogli scusa; se un altro lascia andar via uno dei prigionieri con febbre altissima; se due tedeschi in altra operazione di rappresaglia desistono dal proposito di lanciare bombe a mano in una grotta, ove si nascondevano alcuni civili con il Vescovo Della Cioppa, udendo dall’ interno provenire il pianto di un bambino. Non sono i popoli che devono ricordare altri popoli come richiamati dagli istinti della loro malvagia natura alla disumanità. Atti di ferocia sono stati commessi in quella guerra e nelle tante minori e piccole guerre successive in ogni parte della terra da tutti gli eserciti anche di grandi Paesi civili. E allora è nella storia collettiva che vanno riscoperte le ragioni di tanto tragici eventi. Sono le forme dell’organizzazione politica, le decisioni dei governanti, gli ordini dei comandanti che devono essere messi sotto accusa. La Germania, cui tanto deve la storia del mondo civile per la musica, la filosofia, la scienza, si e degradata per oltre un decennio nella demenza delle ideologie del razzismo e del nazismo hitleriano. In tutti gli eserciti del mondo si registra, mentre dura incessante la innovazione delle tecnologie distruttive, una diminuita percezione del confine tra forze combattenti e popolazioni eivili. Un tempo la guerra era scontro tra masse di armati con musica e bandiere. Una battaglia campale decideva del destino di uno Stato. La distruzione bellica poteva sfiorare le popolazioni ma impattava elettivamente, se non esclusivamente, i combattenti. Nel nostro secolo la guerra è diventa totale, devasta territori, ne stèrmina gli abitanti. Occorre tornare a circondare la guerra di regole. Per millenni, essa e stata un procedimento giuridico, che potesse discriminare i1 dovere militare di combattere dall’omicidio. Nel nostro modernissimo secolo, l’evento di Bellona dimostra il regredire della guerra verso l’omicidio comune. Come può essere rivestita con onore una divisa, e salutata con onore una bandiera quando ci si macchia di un delitto quale è stato questo? Ragionando non in nome dei supremi principii della sacralità della vita umana e della pace tra i popoli, ma in base alla logica dell’onore militare è virtù di soldato o viltà di assassino spegnere le esistenze di innocenti per obbedire all’ordine ricevuto? L’obbedienza non può, dopo il processo di Norimberga, essere discriminante, quando 1’ordine è ingiusto e ha per contenuto un crimine contro l’umanità. Che cosa è poi la rappresaglia? Una vendetta? Qualcuno tra noi ha fatto in tempo a vedere i bandi affissi nei paesi a Nord della Linea Gustav, a firma del Feldmaresciallo Kesselring, che fissavano la proporzione della rappresaglia in dieci innocenti per ogni tedesco ucciso. Duemilacinquecento anni prima la vendetta era misurata molto più civilmente nel taglione. Ma la rappresaglia non è vendetta, è un deterrente, fa parte della guerra psicologica, vale ad atterrire le popolazioni perchè non reagiscano contro invasori o occupanti, non proteggano, anzi isolino o denuncino i colpevoli di atti ostili contro di essi. E vale a scoraggiare costoro perchè mettono a cosi grave rischio di ritorsione i connazionali o le proprie stesse famiglie.
Se la rappresaglia entra nel ventaglio degli strumenti della guerra psicologica, insieme, crudele paradosso, alla propaganda, essa è indirizzata alle popolazioni civili, un atto di guerra contro gli inermi e gli innocenti. Dopo il primo conflitto mondiale, la guerra ha tralignato. Questo è stato possibile perchè partiti, ideologie, governanti perversi hanno alimentato l’odio di classe di razza prima e piu del nazionalismo. Il razzismo ha diviso i concittadini e ha assuefatto ad usare la violenza fratricida fino al genocidio contro le popolazioni figlie di un stessa Patria. Non è stato perciò difficile praticare l’omicidio di massa contro popolazioni straniere. Ecco, ricordare l’evento di cinquantaquattro anni fa ha valore se possiamo sentircene spronati non solo a deprecare la guerra come la più grande delle maledizioni che gravano sulla storia degli uomini ma a garantire che l’ordine internazionale, le costituzioni politiche, le regole del diritto, la formazione etica dei governanti e dei comandanti militari allontanino il ricorso alle armi e che, in ogni caso, queste non si rivolgano mai, per nessuna ragione, contro non combattenti.
La presenza a questa cerimonia del Capo dello Stato sia mezzo per dare l’eco maggiore, in istanze nazionali e internazionali, a questi sentimenti e rifiessioni che salgono a lui da un piccolo paese della Campania, dai posteri dei Martiri innocenti di Bellona.
prof. Francesco Antonio Casavola