Ricordi di un reduce della guerra in Etiopia

Fra i pochi novantenni bellonesi, Giuseppe Giudicianni è colui il quale conserva un vivo, ma tanto triste ricordo della sua partecipazione alla guerra in Etiopia. “Avevo 20 anni quando, insieme a tanti altri giovani, fui arruolato per partecipare alla guerra. Era il 3 ottobre del 1935, racconta  “nonno Giuseppe”, e la propaganda di allora attraverso la radio, i giornali, i discorsi e le canzoni si adoperava per convincerci a partecipare a quella guerra che, a loro dire, avrebbe ridato l’Impero come al tempo di Roma. Era necessario, quindi, recarsi in Africa per liberare dalla miseria tante famiglie e portare, a quei bimbi denutriti, che vivevano in luride capanne, cibo e medicinali. L’aeronautica ebbe un ruolo importante ed eccezionale fu la propaganda, da parte dei gerarchi fascisti, affinché si adoperasse la nuova arma dell’aviazione. Furono mobilitate ingenti forze che affrontarono i 300.000 uomini guidati dall’imperatore Ailé Selassié. Ricordo ancora, ci dice “nonno Giuseppe”, le cruente battaglie che ci portarono ad occupare la città di Adua e poi quella di Assum, capitale religiosa dell’Etiopia, dove le nostre truppe rinvennero un cumulo di sassi ricoperto da erbacce: era il famoso obelisco di Assum che fu portato a Roma come cimelio di guerra. Comandante delle truppe italiane era il Maresciallo d’Italia Emilio De Bono, in seguito sostituito dal generale Pietro Badoglio. Nel frattempo i Ras abissini lanciarono una dura offensiva e 120 aerei italiani bombardarono le retrovie causando gravi danni alle persone e alle cose. Gli etiopi non avevano mai visto oggetti volanti e scambiavano gli aerei con “grossi uccelli i quali lanciavano oggetti bianchi  che scoppiavano con fragore, creando incendi e uccidendo tante persone”. Un corpo di bersaglieri, continua a raccontare “nonno Giuseppe”, conquistò  l’antica e storica città abissina di Gondar e, a partire dal 1936, 400.000 uomini: alpini, bersaglieri, fanti, genieri e truppe coloniali, tutti comandati dal generale Badoglio, si diressero alla volta di Addis Abeba. Il 31 maggio 1936 si svolse la sanguinosa battaglia di Macallé e 8000 etiopi persero la vita. Il negus Ailé Selassié decise di fuggire in Inghilterra, mentre le truppe italiane entravano in Addis Abeba guidate da Badoglio che, con un telegramma, informò il governo: ”Oggi 9 maggio 1936, alle ore 15, alla testa delle vittoriose truppe italiane, sono entrato in Addis Abeba”.  Dopo sette mesi terminava la guerra in Etiopia e la notizia fece urlare di gioia gli italiani. Addis Abeba e altre città furono ricostruite con tecnica moderna, le strade asfaltate, le terre bonificate ed iniziate attività nel campo sanitario per combattere numerose malattie tropicali ed infezioni. Furono aperte nuove scuole e costruite nuove chiese.  La Francia e l’Inghilterra, in principio favorevoli alla missione italiana in Africa, non gradirono le iniziative prese a favore di quei popoli e, oltre a sostenere la guerriglia contro gli italiani, intervennero presso la Società delle Nazioni affinché fossero indette le sanzioni contro l’Italia. Tutto questo spinse il governo italiano ad allearsi con la Germania di Hitler, unica nazione europea che acquistava e vendeva all’Italia qualsiasi prodotto. Da ciò ebbe origine il famoso “patto d’acciaio” che portò l’Italia nella II Guerra Mondiale con i risultati che tutti conosciamo”. Conclude amareggiato il vecchio reduce bellonese.

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