Colloquiando con un nigeriano.
Tra gli extracomunitari residenti a Bellona, vi è una famiglia nigeriana che, dopo le sofferenze e le privazioni patite in Niger, ha trovato finalmente in Italia la serenità, il lavoro ed un certo benessere. Abbiamo incontrato il capo famiglia, Mahmoud Tchimou, che ha descritto la vita vissuta nel suo Paese d’origine. “Il mondo ha sempre rinnovato promesse ogni qualvolta si verificano nella mia Patria disastri di ogni genere. Ai contadini è impossibile lavorare i campi perché inariditi e spostare le mandrie al sud diventa un rischio indescrivibile. Spesso preferiscono perdere tutto il bestiame e salvare la vita. Durante la carestia del 1984, i contadini affrontarono i pastori con spade e bastoni, per impedire che le mandrie affamate ed assetate entrassero nei pochi campi coltivati con grandi sacrifici. La fame, quell’anno, non fece alcuna distinzione: un milione di morti ed una intera generazione di ventenni fu costretta ad emigrare in Costa D’Avorio o in Libia. La primavera del 2004 fu avara di piogge e, durante l’estate, le cavallette completarono l’opera distruttiva. Si prevede che la prossima primavera provocherà una catastrofe come quella di 21 anni fa. Intanto tre milioni di persone e 350mila bambini sono a rischio. I primi a morire sono i bambini perché più esposti alle malattie come la malaria e la diarrea. Un altro grande problema è la penuria di acqua, e quella poca che abbiamo, risulta contaminata dagli animali. A tutto questo si aggiungono i prezzi troppo alti che rendono difficile qualsiasi acquisto. Attraverso una telefonata ad alcuni amici rimasti in Niger, ho saputo che tre milioni di persone rischiano di morire poiché mancano cibo, acqua e medicine. La campagna è un immenso cimitero di bestiame. I Paesi industrializzati avrebbero dovuto inviare 78 mila tonnellate di cereali, ma la comunità internazionale ha messo a disposizione soltanto 23 mila tonnellate di viveri e 5 milioni di euro. Le coste del nostro grande fiume Niger sono molto fertili e gli ettari coltivabili sono 27 mila, ma soltanto 35 ettari sono utilizzati, il resto è abbandonato. L’ostacolo sono i pescatori che vivono lungo il fiume e che solo durante la stagione delle piogge si trasformano in agricoltori. Spero che un tempo la vita nella mia terra d’origine migliori in maniera che io possa ritornare e riposare, quando Dio lo vorrà, accanto ai miei familiari e che il mondo del benessere si interessi ancora di più per la soluzione di un problema di vaste proporzioni.” Conclude il giovane nigeriano.