Ecomostri e scempi edilizi

Per la maggior parte dei residenti a Caiazzo city, dovrebbe uscire di scena in punta dei piedi, a testa

bassa- tornando nella sua dacia di Cesarano.  Dopo aver vissuto per dieci anni (cinque da assessore e altrettanti da primo cittadino) su di un altro pianeta: Tornerà un terrestre. Tornerà al buio, per recitare con ritmo ossessivo i Mea Culpa. La Caporetto alle prossime elezioni, meritatissima per gli scempi edilizi consentiti.  Tante, troppe scelte sballate. Stefano Giaquinto, un sindaco che sarà ricordato nella storia di Caiazzo, per i disastri procurati ad un città in ginocchio, fatta deambulare  a passo di gambero. Commercio e artigianato annientati. Cinque anni di guasti irreparabili.Cinque anni per far distruggere le campagne caiatine: per triplicare mostruosi ripetitori (ndr.chiuse la campagna elettorale promettendo la dislocazione), per partorire mostri di cemento (al posto di antichi casolari), mostri che hanno oscurato la città(anche i tedeschi hanno notato lo scempio). Colline distrutte e con esse le colture in atto: verde di rispetto, uliveti –sostituiti da casermoni di cemento stile 167 di Secondigliano, con deposito attrezzi agricoli e fienili.  E Leon Krier, architetto lussemburghese, progettista di fama internazionale, approdato nella Real Colonia Ferdinandea di S.Leucio, dopo un breve tour nel comprensorio- quasi  sicuramente si riferiva alle campagne di Caiazzo, nell’intervento introduttivo dell’incontro con la stampa: ….la piana di….  Un misero magma di attività agricole, di casermoni di cemento(ndr.resistenti anche a missili patriot)….purtroppo il tutto è alcuni chilometri troppo lontano dal grande Vesuvio, perché esso possa salvarci da questo misfatto umano…risultato di procedure democratiche e burocratiche…un popolo che ha rivoltato ogni pietra e sradicato ogni albero”. Provocazione dura, inquietante – ma sintomatica.
Una comunità danneggiata dal suo modo clientelare di amministrare: distrutta da scelte sbagliate. Una comunità mummificata ed imbalsamata in un rigurgito d’amarcord vetero democristiano, camuffato da un progressismo stantio che, addirittura fa rimpiangere gli anni dell’ancien regime della balena bianca. Indossato nelle campagne elettorali l’eskimo della rivoluzione, preferito poi  ad un più comodo cachemire, da normalizzazione- esercitando cosi il continuismo dicci. Come sono lontani gli slogan di cinque anni fa: promesse come rinascita, rilancio, riscatto, parole di carta- pronunciate da poco abili trasformisti. Pessimi illusionisti, che nel loro non senso hanno trovato e trovano senso, con una sarabanda di intrecci dialettici, con parole che nascondono di solito “il nulla”- il vuoto di contenuti, come per il teatro di Jonesco.
                                                                                                                  

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