Elementare, scuola “popolare” per un maestro solo?

Dal Prof. Luca Antropoli Dir. Scolastico IAC Bellona  riceviamo: La scuola elementare è un grande fenomeno sociale, prima ancora di essere una articolazione del sistema di istruzione; è un luogo universale che affronta da subito l’impatto con le nuove tendenze demografiche, sociali, culturali della popolazione del nostro paese. Oggi, ad esempio, accoglie nelle sue aule una quota crescente di bambini non italiani (siamo ora all’8,5%), ma in alcuni territori oltre il 15-20%, dovendo imparare a costruire nuove grammatiche di convivenza, a ridare senso all’alfabetizzazione funzionale, a praticare inedite forme di dialogo sociale. Se c’è conflitto attorno alla scuola elementare, al suo modo di essere, ai suoi valori, viene messa a repentaglio la funzione di “pacificazione sociale” (il richiamo è di C. Scurati) che questa istituzione diffusa ed estesa (sia nel suo insediamento che nei suoi tempi di funzionamento) ha svolto in Italia, non solo nell’età della Repubblica ma fin dall’unificazione del nostro paese.
Le semplificazioni di queste settimane, il “ritorniamo al maestro unico” (unito magari al ripristino del voto, ad un orario scolastico ridotto, ad una scuola in bianco e nero, ivi compresi i grembiulini) non rendono ragione della delicatezza di questo “ambiente educativo di apprendimento” (la bella definizione è negli ineguagliati programmi didattici del 1985), ove ci si prende cura dei nostri piccoli, delle loro fragilità e del loro desiderio di autonomia e di crescita, in cui si cerca di trasformare il loro piacere di stare insieme (che è ancora il grande punto di forza della scuola) nella voglia di apprendere, di essere curiosi, di diventare competenti nella conoscenza del mondo che li circonda.
 Alle radici del team docente
Non basta un solo docente per aiutare i bambini ad incontrare la ricchezza dei saperi. E’ un’idea povera (e forse benevolmente paternalistica) quella che vorrebbe affidare ad una sola figura il “filtro” dei tanti stimoli che giungono spesso disordinatamente ai bambini (linguaggi, forme espressive, gadget tecnologici, strumenti, riferiti al mondo dell’arte, della musica, delle scienze, della storia, delle lingue, ecc.), ma che vanno riorganizzati, ristrutturati, rielaborati per conoscere la realtà, per comprenderla, per descriverla. Ogni disciplina può diventare una “finestra aperta” sul mondo, non però se viene trasmessa come un corpus statico di conoscenze già date, ma perché ognuna è uno spazio simbolico da percorrere e da agire (ecco la didattica “operativa”) maneggiando –di volta in volta- immagini, rappresentazioni, simboli, codici che “alimentano” e “vestono” l’intelligenza (Olson).
Sono gli insegnanti i portatori di questi diversi saperi, ed è bene che ne siano competenti, appassionati (non basta sapere di tutto un po’, in tono minore, perché tanto ci sono i bambini). Anche il maestro di scuola è persona “colta”. Ma è bene che padroneggi anche tutte le arti della mediazione didattica; solo in questo modo l’incontro tra bambini e saperi, tra esperienza e conoscenza (Dewey) può produrre apprendimento generativo, quadri di riferimento, abilità e competenze. Magari attraverso quella “conversazione animata” che si sviluppa ogni mattina in classe (Bruner).

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