Antonella Ricciardi intervista Alberto Samonà

"Il padrone di casa" è il titolo dell'ultimo romanzo, di natura filosofica, del siciliano Alberto Samonà, pubblicato nell'anno appena trascorso. Nel colloquio che segue, l'autore mette in evidenza i tratti ricorrenti  nel testo (pubblicato con le edizioni Robin), al centro del quale c'è un'ermeneutica di svelamento dei significati più profondi, e a volte latenti, della vita quotidiana, che spesso, anche nelle occupazioni della routine (che potrebbero sembrare qualcosa soltanto di diverso dalle aspirazioni che più avvincono), si manifestano: anche quella, infatti, è vita, non semplice "attesa della vita che si vorrebbe": va quindi valorizzata, per quanto possibile. Nel libro sono presenti suggestioni soprattutto da Gurdijeff, il filosofo e danzatore armeno studioso di tradizioni esoteriche, in particolare di quella cristiana, sufi (un insieme di correnti di  mistici musulmani, famosi per la propria tolleranza), zoroastriana. Oltre al volume "Il padrone di casa" (sulla cui copertina è riprodotta l'immagine di un quadro, di stile astratto e simbolico, di Pupino Samonà, scomparso zio dello scrittore), Alberto Samonà è autore di altre opere letterarie: "Le colonne dell'Eterno presente", del 2001, e "La Tradizione del Sè", del 2003, ancora di argomento filosofico, e dell'opera teatrale "Una fiamma a Campo de' Fiori". Inoltre, da un racconto di Alberto Samonà è stato tratto lo spettacolo teatrale "Le orme delle Nuvole", elaborato dal cantastorie irakeno Yousif Latif Jaralla, che è amico dell'autore. Alberto Samonà, che è parte della giuria del concorso letterario "Subway Letteratura", per autori sotto i 35 anni, è pure un giornalista, specializzato in cronaca giudiziaria: è autore, infatti, di servizi per diversi giornali: i quotidiani La Sicilia, Libero, L'Ora, il periodico Giustizia Giusta, ed altri ancora.
1)    Nel tuo nuovo romanzo "Il padrone di casa" tratti uno studioso di esoterismo che, pur valido nella conoscenza formale di questo ambito di conoscenza, non aveva però avuto il talento, almeno fino ad una determinata parte della storia, di scoprire i quotidiani e sotterranei (ma fino a un certo punto) significati latenti della vita quotidiana, cioè di rendere pure pratico il proprio sapere…allora ti chiedo: quali consideri che siano i più ricorrenti "messaggi" che la vita di ogni giorno trasmette a chi sa coglierli? Mi riferisco a quelli che potrebbero essere più facilmente comuni a molte persone, al di là di alcuni aspetti, invece, irriducibili tra loro dei vari percorsi esistenziali di ciascuno…
La vita di ogni giorno, la quotidianità, sono un vero e proprio tesoro da scoprire, ancora sconosciuto e impenetrabile. Se ciascuno di noi fosse attento ai richiami che provengono dalle nostre giornate ordinarie, dai nostri incontri, dalle relazioni sociali, insomma dall’esperienza del vivere abituale, vedremmo davanti ai nostri occhi un tesoro di valore infinitamente più grande dell’oro. Se riuscissimo a fare una vera “esperienza di noi stessi” , ci vedremmo per come siamo e non come vorremmo essere o come appariamo agli altri; scopriremmo parti di noi fino ad ora segrete e occultate alla nostra stessa vista. E tutto questo non lo si ottiene accumulando nozioni, poiché non bastano il sapere, la cultura e le letture: i veri doni vengono dalla vita reale.  Il padrone di casa inizia proprio dalla descrizione della figura di un intellettuale, uno studioso di materie esoteriche e simboliche che, dopo una vita passata a incrementare il proprio bagaglio culturale e intellettuale, ritorna all’essenzialità di una relazione più sincera con se stesso, tentando di scrollarsi di dosso i ruoli ed i personaggi appiccicati per tutta una vita. Però questo è impossibile se non ci si rende conto dell’esistenza di tali personaggi. E tutti siamo accomunati dal fatto di vivere in una condizione simile a quella del nostro intellettuale, ciascuno con i propri personaggi, con le proprie maschere, con le comparse che entrano in scena a seconda dei fatti che ci accadono nella vita. Il sapere, perciò, non è affatto inutile, ma assume un valore molto positivo solo se rapportato all’essere, altrimenti rimane impotente, privo di un collegamento con la realtà.

2) C'è qualche elemento autobiografico particolare che lega  te  e lo studioso  al centro dell'opera?
In questo libro, come nei precedenti che ho scritto, non ho mai raccontato qualcosa di totalmente estraneo alla mia esperienza, nel senso che le mie pubblicazioni rimandano a un universo “conosciuto”. Non riuscirei a scrivere su argomenti che non conosco e sinceramente, per questa ragione, non mi cimenterei mai in un libro su materie che ignoro totalmente. Inoltre, penso che la storia narrata ne Il padrone di casa sia comune a quanti sono in un cammino di perfezionamento interiore (pessima espressione), i quali sono chiamati a misurare le proprie conoscenze iniziatiche e simboliche con la realtà di ogni giorno, che è fatta di appuntamenti di lavoro, delle rate del mutuo, di rapporti di amicizia e di parentela e di un serbatoio di esperienze che mette alla prova chiunque non viva in un picco di montagna isolato dal mondo.  Gli gnostici affermavano: “Siamo nel mondo ma non del mondo”, per rappresentare come si possa vivere in una realtà, senza per questo esserne travolti. Sotto questi profili, il libro è autobiografico.

3) Spesso il titolo di un libro è come un biglietto da visita  per il contenuto dell'opera: ti è possibile, senza eventualmente svelare troppo il contenuto del volume, chiarire il perché della scelta del titolo "Il padrone di casa"?
C’è una metafora orientale, che accomuna l’essere umano ad una casa in cui il padrone è assente, partito per chissà dove. In sua assenza un insieme di maggiordomi indisciplinati spadroneggiano, atteggiandosi ora in un modo, ora in un altro, nell’attesa che l’unico proprietario dell’abitazione faccia ritorno e se ne riappropri. Ma perché questo avvenga è necessario che qualcuno fra i servitori  – più consapevole degli altri – si accorga del chaos di una simile situazione e incominci a prendere le necessarie contromisure per porvi rimedio. La realtà del protagonista del libro è un po’ come quella di questa casa, in cui per troppo tempo il padrone è stato assente.

4) Diversi critici hanno ritenuto che in questo tuo romanzo sia importante l'influenza del mistico filosofo e danzatore armeno Gurdjieff: tu concordi? E se sì, per quali motivi?
La letteratura, il cinema, il teatro, l’arte, la musica, hanno offerto e offrono diversi esempi di come l’influenza di Gurdjieff  possa essere presente, senza tuttavia risultare “ingombrante” o irrispettosa. Penso ad esempi, quali Daumal, de Hartmann, Battiato, Peter Brook ecc. Limitandoci a questo e senza (per l’amor del cielo) paragonare minimamente Il padrone di casa al genio espresso da questi grandi artisti, rispondo senz’altro affermativamente alla tua domanda: il protagonista è uno studioso di materie spirituali che ha vissuto tutta la propria vita nel sonno e che a un certo punto riconosce questa “assenza” di sé, e Gurdjieff insegnava ai suoi allievi proprio a riconoscere il sonno in cui l’umanità è sprofondata. Guardando, comunque, alla realtà odierna, diffido da chi sostiene che la propria opera debba fare riferimento inevitabilmente a questa o quella realtà, ad idee definite e precise, codificate e schematiche. Il rischio che si corre, in questi casi, è di identificare il frutto della propria creatività (e se stessi) con altro da sé, perdendo in termini di libertà, soprattutto interiore. E’ proprio l’insegnamento trasmesso dal signor Gurdjieff che mette in guardia da simili rischi, molto sottili e, per questo, particolarmente insidiosi. Oggigiorno, poi, c’è chi fa a gara per rivendicare legittimazioni pseudo-esoteriche a questa o quell’attività e basta fare un “giro” su Internet per accorgersi di come il web sia pieno zeppo di esempi del genere. Personalmente, credo che l’influenza lasciata dal signor Gurdjieff e trasmessa fino ai giorni nostri grazie al grande impegno di Jeanne de Salzmann e degli allievi successivi vada nella direzione opposta: cioè della discrezione, del rispetto e del lavoro su di sé. Il chiasso appartiene all’inevitabile degenerazione dei tempi.

5) "Il padrone di casa" è un romanzo in forma epistolare, nel quale le lettere dello studioso sono rivolte ad un'amica, le cui risposte non sono presenti nel testo: cosa rappresenta questa scelta? C'è infatti, a tratti, la sensazione che la destinataria delle missive sia immaginaria, e che contino di più gli interrogativi e le risposte che l'autore si dà da solo che le opinioni di una'altra persona… Puoi, in ogni modo, illuminare un po' questa situazione?
Direi che questo libro può essere letto in differenti modi e su differenti piani. Ci si può limitare alla forma epistolare, che è quella di un uomo che scrive a una donna. E forse, è proprio questa amica misteriosa la vera protagonista delle pagine di questo romanzo, poiché per il protagonista è più che un’amica: è una guida, una sorella maggiore, in grado di fare ordine nella confusione dei propri pensieri. È vero che la donna resta in silenzio, ma chi ha detto che il silenzio è una forma di assenza? Potrebbe essere proprio questa la risposta alle lettere scritte dall’uomo. C’è una chiave di lettura altra da questa, ma che non esclude la prima. L’amica come coscienza, come essenza, immobile davanti agli sfoghi della personalità. In realtà non vi sono risposte nel libro, perché non è questo l’intento, che semmai è quello di porre delle domande, essenziali e indifferibili. Il protagonista pone domande all’amica e a se stesso. L’amica non risponde, perché non occorre dare risposte, ma forse con il proprio comportamento nutre tali domande a un altro livello. L’unica risposta è la vita.
Antonella Ricciardi (intervista del 6-7 gennaio 2009)

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