Derivati tempi duri per gli enti locali

Tempi difficili per i bilanci di molti enti locali italiani. Il  federalismo, i continui tagli ai trasferimenti e i vincoli di bilancio stringenti, vanno di pari passo con i problemi finanziari a cui numerosi enti sono sottoposti per aver sottoscritto contratti derivati con le banche. Sarebbero oltre 600 gli enti coinvolti, tra comuni, provincie e regioni. Dalle ultime indagini di Bankitalia emerge che il valore nozionale dei contratti derivati stipulati in Italia tra banche ed enti locali, ammonta a circa 35 miliardi di euro, mentre le perdite potenziali ammontano a circa 2,5 miliardi di euro.
I derivati sono dei Contratti finanziari che derivano il proprio valore da variabili sottostanti (ad es. azioni, indici, valute, tassi…). Gli enti in linea di massima hanno sottoscritto con le banche i c.d. SWAP. Lo Swap – che significa scambio – è una particolare tipologia di contratto derivato con cui due parti assumono il reciproco impegno di “scambiarsi”, secondo scadenze e modalità prestabilite nel contratto, delle somme di denaro  calcolate su un capitale teorico di riferimento (capitale nozionale) e ad un tasso differente per ciascuna parte. Una parte, infatti, assume l’impegno di versare interessi calcolati in base ad un tasso fisso, mentre l’altra parte si impegna a versare interessi calcolati in base ad un tasso variabile (ad esempio Euribor a 6 mesi). Quando il mercato però è avverso rispetto all’ente, questo può causare gravi perdite in termini di flussi di cassa negativi.
In Italia questo fenomeno ha origine ad iniziare  dal 2001, quando agli enti venne data la possibilità di ristrutturare il loro debito (solitamente titoli obbligazionari e mutui contratti con la Cassa Depositi e Prestiti che presentavano elevati tassi fissi su operazioni a lungo termine e posti in essere negli anni precedenti la introduzione dell’euro) tramite  l’utilizzo di strumenti derivati, in particolare, gli “swap sui tassi di interesse”, con possibilità di trasformare quindi il tasso debitorio da fisso a variabile. In questo tipo di operazioni gli enti, interessati a ristrutturare il loro debito, si sono visti immediatamente corrisposti gli up-front, ossia un premio a fronte dell’impegno futuro a pagare a propria volta la controparte in caso di superamento da parte di un tasso di mercato prestabilito, di una soglia prefissata. I contratti swap, il più delle volte, erano stati sottoscritti dagli Enti Locali con la finalità di fare cassa in momenti di scarsa liquidità e per finanziare le spese di parte corrente del bilancio attraverso l'elargizione proprio del up-front. Questo tipo di prestito veniva rimborsato attraverso le cedole nette che il comune avrebbe poi corrisposto alla banca durante la vita del contratto, fino alla sua estinzione naturale.
I derivati sui tassi d’interesse, sono quindi strumenti utili perché proteggono proprio dal rischio di fluttuazione dei tassi, ma anche complessi. Le recenti cronache giudiziarie in materia, hanno evidenziato come essi possano prestarsi anche a fini distorti a danno di chi non ha una preparazione finanziaria adeguata.
L’utilizzo di tali strumenti è infatti spesso avvenuto in maniera non del tutto trasparente da parte degli intermediari finanziari i quali – approfittando dell’asimmetria informativa – hanno proposto e venduto alle amministrazioni pubbliche strumenti di copertura dal rischio variazione tassi di cambio e di interesse, ma che, in molti casi, si sono poi rivelati essere di natura speculativa e non calibrati sulle reali esigenze finanziarie degli enti. E’ bene sottolineare che comunque la ristrutturazione del debito ha portato dei benefici ad alcuni enti, i quali utilizzando correttamente i derivati sono riusciti a migliorare le loro finanze.
Le indagini svolte dimostrano che il principale problema attuale relativo alle operazioni in derivati effettuate dalle banche con Enti locali italiani, riguarda la presunta presenza di “costi occulti” al momento della stipula dei contratti.  I contratti swap una volta stipulati, non sono facilmente trasferibili ad altri soggetti e possono essere rinegoziati solo con la banca originaria, la quale, in certi casi, ha imposto commissioni di chiusura fortemente penalizzanti.  Quando il cliente si rende conto di quanto siano onerosi, nella maggior parte dei casi l’intermediario propone di chiudere i contratti originari o di sostituirli con nuovi contratti  – comunemente detta rinegoziazione, cioè  rimodulazione del contratto – che spostano più avanti il termine di chiusura ma che ne incamerano il mark to market negativo (a discapito delle giunte future). Tali rimodulazioni, fatte apparire come soluzioni più vantaggiose  – poiché le perdite vengono diluite nelle rate – sono ancora più pericolose perché si tratta di operazioni che aumentano l’esposizione al rischio dell’ente, ossia hanno forti probabilità di generare flussi di cassa negativi superiore a quelli precedenti. Sono sempre i cittadini alla fine a rimetterci con il taglio dei servizi sociali, l’aumento della pressione fiscale e dei costi legali. Questi swap della finanza locale, sono divenuti quindi un terreno di guerra tra enti e banche. Si sono infilati nelle aule dei tribunali e nelle indagini aperte da numerose procure. La Regione Lazio, ad esempio, ha citato in giudizio undici  grandi banche chiedendo un risarcimento per 82,8 milioni di euro più interessi relative a operazioni in derivati finanziari. Lo ha annunciato il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini «la regione si è vista addebitare oltre 82 milioni di costi occulti».  Sotto osservazione anche il Comune di Roma che avrebbe sottoscritto derivati obbligazionari per 1,4 miliardi di euro con scadenza 2048 e altri relativi ai mutui per 1,5 miliardi. Sarebbero in totale  9 i contratti realizzati nella forma di swaps, ed utilizzati per le ristrutturazioni di debiti obbligazionari. I "costi occulti" sono stati anche al centro dei dissidi tra il comune di Milano, Rimini e la Regione Toscana.
 
Per uscire da questa situazione con l’art. 62 della finanziaria 2008, è stato vietato agli enti di stipulare nuovi contratti in strumenti derivati. Gli enti hanno così tre possibili strade per uscire da questa trappola: in primo luogo decidere se mantenere il contratto derivato, estinguerlo alle condizioni attuali del mercato (qui però bisogna essere prudenti perché si rischia di pagare alte commissioni implicite alla controparte), secondo avviare una procedura di contenzioso legale con la banca, oppure, come soluzione preferibile, attuare una negoziazione extragiudiziale con le banche rivolta all’estinzione dei contratti stipulati, in modo da scongiurare  ulteriori esborsi monetari a carico dell’ente. È auspicabile, inoltre che venga varata la tanto attesa regolamentazione sui derivati la quale impedisca di usare i derivati per anticipare una ricchezza che ancora non c’è e di metterla poi in circolo, come sottolineato dal ministro dell’economia Giulio Tremonti.
 
Note
Euribor: L’Euribor è un tasso interbancario, cioè il tasso di interesse al quale le banche prestano denaro ad altre banche.
Perdita potenziale: quanto gli enti dovrebbero sborsare alle controparti se chiudessero i contratti anticipatamente
Valore nozionale: importo su cui sono calcolati gli interessi.
Mark to market: rappresenta la perdita potenziale di un contratto derivato e i costi per chiuderlo in un dato momento.

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