La lunga marcia delle donne negli ultimi due secoli

L'8 marzo di ogni anno è celebrata la Giornata Internazionale della Donna, chiamata comunemente Festa della Donna, una  ricorrenza  che intende rammentare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze cui esse sono ancora fatte oggetto in molte parti del mondo. Proviamo a seguire la marcia verso le conquiste che le donne hanno fatto negli ultimi due secoli, spazzando molto lentamente pregiudizi e diffidenze sempre vive. Nella seconda metà del XIX secolo la condizione femminile, nonostante i tanti progressi in atto, rimase molto dura.  La donna, sia che fosse operaia, contadina, borghese o aristocratica, rimaneva fortemente subordinata all’uomo: non aveva gli stessi diritti, non votava, spesso gli era imposto l’uomo da sposare, era malvista se osava condurre una vita minimamente libera. Le contadine, le operaie e le figlie o mogli degli artigiani erano costrette a lavorare duramente ed avevano comunque tutto il peso della casa e della cura dei figli. Le donne borghesi molto spesso conducevano una vita costretta in casa, erano schiacciate dai pregiudizi e soprattutto erano completamente subalterne ai mariti. Alla donna aristocratica quasi sempre il marito era imposto dai genitori, che sceglievano o tra uomini dello stesso ceto sociale o anche tra i borghesi, soprattutto se erano molto ricchi ed anche più anziani. A tal proposito come non ricordare uno dei capolavori di Verga: Mastro don Gesualdo. Nonostante questi presupposti verso la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento qualcosa inizia a mutare. Infatti, intorno al 1870 nascono in Inghilterra e negli Stati Uniti dei movimenti che chiedevano il voto per le donne, definiti del ‘suffragismo’ o delle ‘suffragette’. Il movimento ebbe solo un successo parziale, ma la marcia verso le conquiste dei diritti politici era ormai avviata. Negli Stati Uniti, il Wyoming ne 1879 fu il primo Stato a concedere il voto alle donne; in Inghilterra avvenne ne 1911; in Italia si dovrà aspettare fino al Referendum istituzionale del 1946. Nel campo artistico e letterario si nota ugualmente lo stesso fervore. Si hanno, infatti, sia testimonianze iconografiche di donne intende a leggere il giornale (attività propria dell’uomo), sia testi teatrali, come ad esempio, Casa di bambola di Ibsen del 1879 in cui si evidenzia il disagio di Nora, la protagonista, che rifiuta il suo ruolo di bambolina di casa, sottomessa al marito, Helmer, e oberata dagli impegni domestici, rivendicando invece una sua indipendenza e soprattutto la pari dignità. Ritornando alla lunga marcia delle donne italiane verso la pari dignità, una tappa fondamentale è stata la I Guerra Mondiale, con il suo carico di immani tragedie. In questo periodo, infatti, le donne sostituirono gli uomini, impegnati al fronte, nel lavoro delle fabbriche. Si resero conto che sapevano svolgere bene, con scrupolo ed intelligenza, ciò che fino ad allora era ritenuto di squisita competenza degli uomini. Tuttavia, nonostante l’importante funzione svolta in questo delicatissimo periodo, il loro salario rimaneva inferiore a quello di un uomo, ma soprattutto a guerra finita, con il ritorno degli uomini al lavoro nelle fabbriche, furono licenziate. Le donne durante la Grande Guerra diventarono protagoniste nel campo del lavoro, sia nell’industria che nell’agricoltura, sostituendo anche gli uomini al fronte, mentre le Associazioni femminili, laiche e cattoliche, si attivavano nei settori dell’assistenza ai soldati in guerra e alle loro famiglie, proseguendo un’attività che aveva caratterizzato le emancipazioniste dell’ottocento. Nel periodo pre-fascista la questione femminile aveva sollevato grande interesse nelle fila del movimento socialista italiano portando alla ribalta la questione dell’emancipazione femminile: la parità dei diritti e dei salari, il suffragio universale, ed altri temi ancora erano al centro del programma politico del socialismo internazionale. Fu dunque il fascismo che ricostruì a suo modo un saldo rapporto fra donna e politica, fra donna e nazione, fra donna e patria, e che elaborò per lei un progetto politico che ridefinì i suoi spazi pubblici e privati. Il progetto politico fascista mirò alla formazione di una “Nuova italiana”. Il Regime cercò di formare il suo tipo di donna ideale non soltanto discriminando l’educazione e gli sbocchi professionali, ma anche occupandosi di trucco, cipria, belletti. Gaetano Polverelli, che nel 1931 diventò capo dell’Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio, inviava direttive a ogni giornale per stabilire come doveva apparire la donna fascista: “…deve essere fisicamente sana, per poter diventare madre di figli sani, secondo le regole di vita indicate dal Duce”.
Il Duce riuscì a chiese alla donna italiana di essere madre prolifera e sposa consenziente, angelo del focolare e brava domestica, sempre sottomessa alla gerarchia del marito, tutti ruoli assolutamente conservatori dello status quo. Fu soprattutto questo modello di donna-madre ad essere sostenuto dalla forte retorica a cui si unirono una serie di interventi legislativi come la creazione della Federazione fascista delle massaie rurali. Questa organizzazione, strettamente dipendente dal partito e che raccolse progressivamente centinaia di migliaia di iscritte, era deputata al compito ideologico di valorizzare il ruolo tradizionale della donna contadina “regina del focolare”, e perno della famiglia, nucleo essenziale della stabilità delle campagne; d’altro canto “la federazione fu anche la prima grande organizzazione di massa femminile nelle campagne, che stimolò una qualche partecipazione civile delle contadine”.
Nelle città, dapprima attraverso l’organizzazione dei Fasci Femminili, preposti all’affermazione della concezione fascista della donna, antiemancipazionista e sessista; successivamente videro la luce una serie di opere di assistenza e di servizi sociali, quali ad esempio l’O.N.M.I., Opera Nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia. Negli anni trenta il Duce chiamò la donna alla partecipazione attiva, alle adunate, alle marce, alla costruzione di una Grande Nazione. Nacquero così il Dopolavoro e le organizzazioni sportive, dove le donne, ovviamente sotto stretto controllo maschile, svolgevano funzioni assistenziali e addirittura sviluppavano una coscienza di razza che sarebbe servita poi a distanza di tempo come supporto ideologico per la politica coloniale.
Si trattò  di una vera e propria politica per la formazione della donna che veniva istruita nell’economia domestica, nell’educazione all’infanzia, nell’assistenza sociale ed educata alla salute e a una sana maternità attraverso l’introduzione dell’educazione fisica e dello sport femminile. Se da un lato il fascismo condannava tutte le pratiche sociali connesse con l’emancipazione femminile, dal voto al lavoro extra-domestico, al controllo delle nascite, dall’altro, nel tentativo di accrescere la forza della nazione si vide costretto ad utilizzare tutte le risorse disponibili compresa la risorsa “donna” e così finì per promuovere quegli stessi cambiamenti che cercava di evitare.
Al fascismo aderirono subito le donne giovani e delle città in quanto erano più vicine all’ondata rivoluzionaria ed emancipazionista proveniente dall’Europa. Il fascismo femminile fu all’inizio, come quello maschile, un fenomeno urbano e di provenienza piccolo-medio borghese. Le fasciste della prima ora vedevano nel progetto fascista, l’alternativa al vuoto lasciato dal liberalismo. E’ questione controversa quella del consenso delle italiane al regime; senz’altro non fu un consenso spontaneo, ma permeato di un carattere coatto ed indotto. Con la caduta del regime e con l'inizio della resistenza il ruolo della donna ha incominciato a cambiare. Anche il loro ruolo nella famigli cambiò molto: la donna della resistenza era lavoratrice e autonoma. Non per questo però bisogna dimenticare che nella maggioranza dei casi il modello della famiglia fascista e cattolico persistette ancora per molto tempo. Dopo la seconda guerra mondiale la situazione delle donne in Italia subì un brusco passo indietro come d'altro canto come tutta la società italiana uscita devastata dalla sconfitta e dall'occupazione nazista. L'unico dato positivo fu certamente la concessione del tanto auspicato suffragio universale femminile; infatti alle prime elezioni libere del 2 giugno 1946 le donne italiane poterono scegliere tra Repubblica e Monarchia; due anni dopo come sancito dalla nuova Costituzione in vigore proprio da quello stesso anno poterono partecipare alle elezioni politiche che avrebbero dato un nuovo assetto parlamentare all'Italia. La stessa Costituzione sanciva, e sancisce tuttora, la parità salariale all'articolo 37 e  regolato da una legge successiva solo nel '57 in applicazione di una convenzione internazionale. Con un accordo interconfederale del 1960 si decise l'eliminazione dai contratti collettivi nazionali di lavoro delle tabelle remunerative differenti per uomini e donne. Venne così sancita la parità formale e sostanziale tra uomini e donne nel mondo del lavoro. Le clausole di nubilato sarebbero state definitivamente vietate con la legge n.7 del '63. Con il boom economico degli anni ’50 e ’60 quindi, non appena la situazione in Italia ando' migliorando, sembrava che qualcosa si cominciasse a muovere: si formarono associazioni che puntavano ad un miglioramento della condizione delle donne e che chiedevano per loro non solo maggiori diritti negli ambiti lavorativi ma anche un maggiore impegno politico ed istituzionale. La realtà era tuttavia ben diversa: basti pensare  ai romanzi scritti in questo periodo dove le donne sono costrette a difendere anche in maniera violenta i propri figli o mariti oppure a nasconderli dalla polizia Negli anni settanta furono introdotte le leggi che più di tutte in Italia vengono indicate come le maggiori conquiste femminili del 900': in primo luogo la legge sul Divorzio del 1970, che consentiva il divorzio ai coniugi senza prescindere dalle concezioni moralistiche cristiane.
Con la legge del Diritto di famiglia del  1975  venne introdotta la parità tra uomini e donne nell'ambito familiare: la potestà sui figli, infatti, ora sarebbe spettata a entrambi i coniugi che hanno  quindi gli stessi identici diritti e doveri e non più solo al padre. In attuazione del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Altra legge a favore della parità dei diritti è quella dell'Interruzione volontaria della gravidanza la famosa Legge194 del 1978. Tale norma ha come scopo principale la prevenzione delle gravidanze indesiderate, oltre l'obiettivo di contrastare l'aborto clandestino. Si può senza dubbio affermare che la condizione della donna anche in Italia sia certamente  migliorata negli ultimi 40 anni, ma ancora molta strada è la strada da fare; non solo in Italia ma anche in molti altri Paesi.
Il movimento femminista prosegue tuttora la sua lotta contro ogni forma di violenza subita dalle donne. Nella sua visione acquista inoltre rilevanza l'effettiva considerazione dei modi di vita attuali della donna. Sono problemi a cui le leggi possono porre qualche rimedio, ma che saranno risolti soltanto attraverso un'evoluzione profonda della nostra società; attraverso un radicale cambiamento di pensiero. La marcia è, e sarà ancora molto lunga.

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