“A don Lorenzo Milani”

Nei lontani decenni di caos e sovversioni, Lorenzo Milani sentenziava la ligia obbedienza di taluni criminali per i quali essa coincideva con un perverso eroismo. Come gli ubbidienti del periodo nazista che, da automi, contribuirono alla prepotenza del male innescando lo sfacelo umano; e quel pilota di Hiroshima, che per alcuni era un eroe, per se stesso non era altro che un imbecille. Esiliato sul monte Barbiana, Don Milani portava a compimento il suo progetto a favore di un’istruzione equa e collettiva, in difesa dell’identità dei poveri contro i soprusi degli abbienti. In scena al Teatro Civico 14, c’è Angelo Maiello per la regia di Claudio Di Palma. Tra sussurri e sfoghi vocali, fluisce la narrazione del percorso impervio dell’anticonformismo e della lotta contro le blasfemie sociali, per il bisogno di far prevalere la legge della coscienza. Il monologo del protagonista si snoda tra la critica al sistema scolastico e la denuncia allo sfruttamento del lavoro minorile, nei tempi in cui respingere un allievo significava mandarlo nelle fabbriche. Finché in questi luoghi del misero guadagno, subentra l’inutilità dell’uomo sostituito dalla macchina, in coerenza con la nuova civiltà industriale. Dalle testimonianze di Don Milani sulla situazione a lui contemporanea, scaturisce un nuovo concetto di obbedienza, per cui non è più una virtù ma si rivela “la più subdola delle tentazioni”. In una sintesi spaziale che tende a bilanciare l’ essenzialità scenica con la ricchezza del verbo, Angelo Maiello sfida degnamente l’occhio critico della platea, immedesimato nella figura del parroco, al centro di un gioco luminoso che enfatizza la mimica e amplifica la voce. Con le parvenze di una foto, la luce dall’alto delinea la corposità dell’ attore e il movimento immerso nella luce rossa del fondo ricorda, a tratti, una sequenza di fotogrammi. Le scelte musicali creano la giusta atmosfera, fungendo da un punto e accapo o una semplice virgola tra una parte e l’altra dell’ eloquio, pregno di citazioni che si susseguono nella memoria dell’attore, riflettendosi nello stupore degli astanti. Le parole estrapolate dalle opere di Milani si incastrano nel contesto attuale, dove sembra sgretolarsi l’asse portante di un’istruzione in bilico tra bullismo e maestri unici, e quello di una democrazia resa contorta per la protezione dei signori dei decreti, a discapito di chi è sconfinato nel ghetto dei cassintegrati. Don Lorenzo Milani impartiva i suoi insegnamenti nell’Italia dei ’50 contro la pazzia di chi governa, incitando i suoi ragazzi al rispetto verso “le leggi quando sono giuste, cioè quando sono la forza del debole. Quando invece vedranno che non sono giuste, cioè quando sanzionano il sopruso del forte, essi dovranno battersi perché siano cambiate”.
 

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