La situazione politica e sociale della Tunisia

Nel Mediterraneo i fattori di destabilizzazione politica e sociale restano forti così come emerso dalla crisi tunisina. Al di là dei programmi di partenariato enunciati a Barcellona nel 1995, dei successivi proclami e delle visioni surrealistiche che avrebbero voluto evidenziarne la sostanziale coesione e unitarietà, il Mediterraneo resta un’area di fratture economiche, sociali e culturali. L’Europa, che avrebbe dovuto farsi capofila di un processo di armonizzazione e di coesione, ha ancora una volta in parte perso la scommessa. Una scommessa, peraltro, persa anche al suo interno, almeno sul fronte politico. L’euro infatti non può bastare a cementare territori, popolazioni, politiche, così come non possono bastare accordi economici a produrre stabilità politica.
A differenza dei paesi dell’est europeo, passati dall’esclusione dei primissimi anni Novanta all’adesione dieci anni più tardi, i paesi della riva sud del Mediterraneo hanno intrattenuto significativi e ininterrotti rapporti con l’Europa, limitati esclusivamente alla sfera della cooperazione tecnica e finanziaria che non hanno dato il via a procedure concrete di adesione all’Unione, ma che soprattutto non hanno né evitato l’acuirsi dei differenziali di ricchezza tra le due sponde né hanno favorito la stabilità politica. Quest’ultima, peraltro, compromessa dal diffondersi di un Islam sempre più radicale e anti-occidentale, dai crescenti flussi migratori, dall’urbanizzazione incontrollata, dalla competizione per il controllo delle risorse. Il Mediterraneo si è confermato essere un “sismografo geopolitico” di grande interesse non solo per la scala continentale ma anche planetaria . Dal Medioriente con le sue le vicende arabo israeliane all’atavica diffidenza tra Grecia e Turchia, alla polveriera Balcanica che è esplosa in tutta la sua contraddizione con due sanguinosi conflitti in pochi anni.
Il colonialismo europeo ha lasciato alla riva sud del Mediterraneo una stratificazione di conseguenze che ha dato luogo a una configurazione politica frammentata. Si tratta di paesi in cui l’identità nazionale e statale ha una continuità plurisecolare, di Stati-nazione a maggioranza musulmana fondati nel corso del XX secolo che hanno costruito le proprie identità non sulla nazione, ma sul nazionalismo travestito da socialismo o da panarabismo che ha assunto gli aspetti del “leaderismo” in repubbliche che sono apparse sempre più simili a “monarchie dinastiche”. Queste sono espressione di élites militari che detengono effettivamente il potere e che sono apparse funzionali, al ceto medio modernizzante, per impedire la deriva islamista e ciò non toglie insurrezioni come di fatto sta accadendo in Egitto.
L’Europa, in definitiva, non può restare impassibile di fronte a una siffatta realtà politica. La base di dialogo tra Europa e paesi del Maghreb ha ruotato troppo spesso intorno agli interessi energetici. La stabilizzazione indotta (e voluta) dall’Occidente ha avuto come ricaduta più evidente la riduzione dei diritti e delle libertà civili (la Tunisia è tra i paesi del Maghreb , all’ultimo posto nella classifica di Freedom house). Nel caso della Tunisia la scarsa incidenza del settore petrolifero nell’economia nazionale(a differenza ad esempio dell’Algeria) la rende maggiormente vulnerabile alle crisi economiche. La disoccupazione attestata tra il 30 e il 40% da impulso alla battaglia dei giovani tunisini che reclamano maggiore spazio nella società civile, contro una classe dirigente che non ammette opposizioni e che non tollera alcuna proposta di cambiamento. La Tunisia potrebbe essere il primo,e non l’unico, caso di destabilizzazione interna dal basso. Il Mediterraneo rischia di trasformarsi in un contenitore di piccoli e grandi focolai di tensione che potrebbero vanificare gli sforzi profusi dai tentativi politici per la stabilità. L’Europa, deve interrogarsi su queste situazioni e “guardarsi” da sud.

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