Roberto Solofria in “78”

La mafia è una montagna di merda. Ma “facciamo finta che tutto va ben”, si cantava nel 1978 in Onda Pazza, la trasmissione che Peppino Impastato conduceva su Radio Aut in cui derideva con pungente ironia gli uomini d’onore di Mafiopoli. La satira del giovane militante colpiva gli sporchi affaristi che in quegli anni infestavano il territorio siciliano con traffici illeciti, in particolare il boss di Cinisi Gaetano Badalamenti da lui soprannominato “Tano seduto”. In occasione della rassegna “Nuovomondo – il principio della Legalità”, Roberto Solofria porta in scena “78”, uno straordinario lavoro teatrale di memoria storica basato sulla ricostruzione di due tragici episodi avvenuti in quell’anno, nel medesimo giorno: il 9 maggio, il corpo trivellato di Aldo Moro viene ritrovato in una Renault 4 rossa in via Caetani dopo 55 giorni di sequestro da parte delle Brigate Rosse, e Peppino Impastato viene fatto esplodere con un carico di tritolo su mandato di Badalamenti. Roma e Cinisi, due delitti distanti che incrementarono il clima di sgomento  nell’ Italia degli anni di piombo. Il presidente dei democristiani venne freddato in seguito al rifiuto dello Stato di scendere a compromessi con i sequestratori che avevano proposto uno scambio di prigionieri; perché la scarcerazione dei loro compagni brigatisti significava la resa dello Stato. Così, nel comunicato numero 9, le BR dichiararono chiusa <<la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato>>. Abile nel muovere e intersecare con discrezione le linee narrative, Roberto Solofria ripercorre gli eventi da attore e narratore, discorrendo in parallelo su due vicende atroci con la voce della memoria tra reading e monologhi, circondato da flebili candele messe agli angoli dello spazio cubico. Si tiene in equilibrio sulle note di Rino Gaetano, nel suo duplice ruolo in questo luogo di convergenza tra due storie che hanno lasciato uno squarcio indelebile, tenendosi ora sul livello intradiegetico e passando poi a quello extradiegetico cambiando una maschera che non c’è ma non la prospettiva fortemente denotata. I comunicati delle BR e le lettere di Moro si alternano alle musiche di Radio Aut, al racconto della lotta a Punta Raisi contro la costruzione dell’aeroporto, Peppino al fianco dei contadini di quelle terre. La cornice scenografica è un ritaglio da cui la parola dell’attore diventa liberazione e in esso lo spettatore si ritrova intercalato e affascinato seppur con amarezza, reso partecipe degli accadimenti del ’78 che fanno da contorno al fulcro testuale, senza mai perderne l’intensità drammatica. L’ultima immagine di Aldo Moro chiude l’opera con un rapido flash, sul drappo con la stella a cinque punte e quella scritta cubitale in antitesi alla “Repubblica” lacerata in una fase di cinismo politico.    Teatro Civico 14 – Caserta

Condividi questo articolo qui:
Stampa questo post Stampa questo post