Aspirazioni e lavoro: confine tra fine e mezzo

In una società in costante crescita e trasformazione come la nostra, all’interno della quale l’individuo appare sempre più fragile e disorientato sia da un punto di vista personale che professionale, un interrogativo spontaneo è qual è il valore del lavoro oggi? Avvertiamo spesso tra i giovani un sentimento strisciante di paura e ansia legato ad un futuro incerto. Come reazione, c’è chi mette in atto una spasmodica ricerca di un posto di lavoro fisso e stabile che garantisca uno stipendio alla fine del mese e chi cerca la scalata verso il successo e il potere come chiave per l’autoaffermazione di sé. Siamo certi che il lavoro sia soltanto questo?   
La concezione di un lavoro inteso esclusivamente come un fine porta il soggetto a considerarlo come una meta da raggiungere a tutti i costi, per una sicurezza personale e/o per trasmettere un’immagine spesso non coerente con ciò che una persona è realmente. All’interno di questa visione dove vanno a finire gli interessi, i sogni, le aspirazioni di ciascun individuo? C’è un fine più lontano allora sul quale ciascuno dovrebbe fermarsi a riflettere: il contributo per il benessere degli altri. Il lavoro diventa dunque un mezzo, uno strumento al servizio della società. Poiché non esistono lavori migliori di altri, ma solamente impieghi fatti con più cuore, è implicito che l’importanza non sia attribuita al tipo di lavoro quanto alle modalità con cui esso è realizzato.
Ecco allora che la formazione si compone di tutta una serie di possibilità e percorsi utili al soggetto per orientare e correggere il proprio processo di apprendimento, trasformando il sapere e la conoscenza in una risorsa individuale e collettiva per lo sviluppo della democrazia.

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