Caiazza, è estorsione la riduzione dello stipendio sotto la minaccia di licenziamento
“La Corte di Cassazione ha sancito la configurabilità del reato di estorsione nel caso in cui l'imprenditore minacci la perdita del posto di lavoro i dipendenti che non accettino una retribuzione inferiore a quanto indicato nella busta paga”. È quanto ha affermato Luciano CAIAZZA, Dirigente nazionale della CISAS-ANAS commentando la recente sentenza della Suprema Corte, (sentenza 31/8/2010, n. 32525 della VI Sez. penale). “Si commette identico reato” – ha aggiunto il sindacalista – “ nel caso in cui si obblighi il lavoratore ad apporre la propria firma su lettere di dimissioni in bianco allo scopo di evitare le disposizioni legislative dettate in tema di preavviso al licenziamento. La Suprema Corte” – ha proseguito Caiazza – “ha inoltre sottolineato che in nessun caso può essere legittimata e ricondotta "alla normale dinamica di rapporti di lavoro" un'attività minatoria, in danno di lavoratori dipendenti, che approfitti delle difficoltà economiche o della situazione precaria del mercato del lavoro per ottenere il loro consenso a subire condizioni di lavoro deteriori rispetto a quelle previste dall'ordinamento giuridico. I Giudici hanno infine precisato che la minaccia, intesa quale elemento costitutivo del reato di estorsione, non deve necessariamente essere ricondotta alla prospettazione di un male irreparabile alle persone o alle cose tale da impedire alla persona offesa di operare una libera scelta; è invece sufficiente” – ha, infine conclulso Caiazza – “che, in considerazione delle circostanze concrete in cui la condotta viene posta in essere, questa sia comunque idonea a far sorgere il timore di subire un concreto pregiudizio”.