Social Network: Facebook alla riscossa
Il vecchio slogan “Che mondo sarebbe senza Nutella” andrebbe oggi aggiornato in“Che mondo sarebbe senza Facebook?”. Come un abuso di Nutella può causare gravi disordini alimentari, così i social network senza contegno possono causarne di psicologici.
Che oggi ci siano due tipi di realtà è evidente: una reale, naturale, ed una virtuale, artificiale. Tra di esse, ci sono delle sostanziali differenze. Se pensiamo che nell’era del consumismo anche la rete è diventata un bene da consumare per gli utenti ed un business per i “produttori”, si comincia a inquadrare la situazione.
Molti articoli, tra cronaca e psicologia, denunciano il fatto che i social network, in pole position fra tutti Facebook, comportano per molte persone il dispendio di gran parte del tempo della giornata a discapito di impegni ben più urgenti e costruttivi come lettura, socializzazione vis a vis, educazione dei figli. Il vivere la rete può diventare una ossessione sino a sfociare in patologie riconosciute dalla psicologia ufficiale (dipendenze,disturbi compulsivi per fare un esempio). Possiamo ben dire che si “cade nella rete”.
Facebook (che cerca di fare il suo mestiere ossia accumulare tonnellate di utenti) causa lo svuotamento delle relazioni interpersonali portandole ad una sempre maggiore e crescente “virtualizzazione”. Svuotamento che si riflette anche sul piano intimo e personale. Che differenza c’è tra conoscere una persona tramite siti web o incontrarla per strada?
Che forse il conoscere in modo facile molte persone ed allo stesso tempo parlare contemporaneamente con più gente porti ad una superficialità anziché ad un approfondimento? Non si può negare che una differenza concreta nel parlare con una persona “live” sia di darle tutta l’attenzione rivolgendole i canali comunicativi che madre natura ci ha dato quindi i 5 sensi.
Molti avranno visto il film Avatar, proprio questo è il senso della rete, avere un personaggio tramite cui si parla e, come nel caso di Facebook, avere uno schermo davanti agli occhi che renda più “sicuri”, più “protetti” e faciliti la conoscenza (se così possiamo definirla). Ci stiamo abituando a una non relazione diretta con gli altri e il “conoscere e comunicare” forse è diventato un passatempo per non annoiarsi.
Ognuno usa la rete e i social network come ritiene più opportuno, non si vuole valutare né giudicare l’utilizzo, ma spesso non ci si rende conto delle reali motivazioni che ne portano all’uso e delle loro conseguenze inevitabili. Come mai una persona che lavora, che ha figli, una famiglia, una casa a cui badare e tanti impegni riesce a trascorrere molte ore al giorno su Facebook? Oggi si ha bisogno di “un aiutino” per conoscere persone per mancanza di tempo o è diventato una “moda” tanto per? Ci si chiede ma allora un tempo come si faceva a conoscere persone? Si legge spesso di articoli riguardanti le “chat” virtuali e alcune conseguenze quali licenziamenti, cali di produttività del personale, tradimenti coniugali e così via. Tutto è facile ma si è consapevoli del gioco a cui si sta giocando?
Che un rapporto via chat sia più superficiale non è possibile negarlo questo sistema relazionale sta portando a diventare più superficiali, si passa più tempo a parlare e giocare su internet che a leggere un libro o a parlare con un amico/a. Visto che il mezzo è parte integrante del comunicare e che, non poche volte, il mezzo condiziona la relazione, a cosa porterà questo modo di comunicare facile, semplice, economico e multi-persona-contemporaneamente? Per dirsi cosa? Perché si ha la necessità di stare in rete?
Vero è che si ha la possibilità di comunicare con chiunque al mondo in qualsiasi momento, ma, come disse Corrado Guzzanti interpretando “Quelo” :“Oggi la tecnologia mi permette di comunicare persino con un aborigeno! Ma la domanda è, Aborigeno, io e te, cosa ci dobbiamo dire?”.
Questa frase ironico-realistica racchiude il senso che oggi non si comunica più, ma si chiacchiera per passare tempo su argomenti sterili e ben lontani da un interessante scambio culturale. Non bisogna accusare il mezzo poiché non è il mezzo che fa la comunicazione delle persone né tantomeno è responsabile di nulla. Un coltello si può usare perché si fa il macellaio o come assassino alla Kill Bill. Dipende dallo scopo per cui si usa lo strumento.