Benigni nella terza edizione del festival di Sanremo restituisce l’inno di Mameli all’Italia

L'officina della musica targata Sanremo lo doveva agli italiani. Dopo anni di canzoni, che a volte più di libri e manuali riescono a raccontare la storia di un paese, arriva finalmente una serata verde, rossa e bianca nata per celebrare il 150° anniversario dell’unità d’Italia. La 61° edizione del festival della canzone italiana, dunque, ad un mese dalla data ufficiale per le celebrazioni dell’anniversario, ha portato sul palcoscenico i 14 artisti in gara facendo cantare loro le canzoni che hanno fatto storia della musica italiana – dagli inni del Risorgimento alle canzoni storiche anteguerra alle creazioni dei grandi cantautori italiani (anche se mancano Dalla e soprattutto Fabrizio De André). La prima canzone riproposta è "Noi due stupidi" di Giorgio Gaber interpretata dai comici Luca e Paolo che finito il tempo di serietà dettato dalla canzone non possono far a meno di puntare il loro obiettivo preferito: la prima fila del teatro Ariston: "E' bello vedere il direttore generale in platea perche' vuol dire che non telefona''. Poi si concedono una lettura impegnativa di un testo di Antonio Gramsci, dal saggio "Gli indifferenti del 1917, tratto da una rivista pubblicata a cura della Federazione giovanile piemontese del Partito Socialista. Morandi ci mette l'anima cantando per la prima volta e per intero un inedito di Gianni Bella "Rinascimento" e per lui è una standing ovation. La stessa sala che solo qualche minuto dopo si infiammerà per la versione di "'o surdat ’nnamurat" proposta da un Vecchioni che ha il DNA napoletano; nessuno (a casa o in teatro) può far a meno di intonare il ritornello scritto da Aiello e Cannio nel 1915. Anche Albano riesce a trascinare con "Il va pensiero" di Verdi, infatti sarà il più votato della serata celebrativa dell'unità d'Italia. Brava anche la giovane Nathalie con "Il mio canto libero" e guardando Mogol in prima fila cerca rassicurazioni pur riuscendo a far risaltare l'inno alla libertà della canzone cantata da Battisti. Mamma Anna Tatangelo si riprende l'applauso (e non solo infatti insieme ad Albano sarà ripescata) con "Mamma". Stona con una versione troppo jazzata e accelerata di" Il cielo in una stanza" Giusy Ferreri.
La serata ha la sua degna celebrazione solo con l'entrata gongolante del garibaldino Benigni in groppa ad un cavallo bianco riesce ad entusiasmare la folla con un "Viva l'Italia".
Il suo bersaglio è quello noto S.B. anche se vuole concentrarsi sul giovane Mameli. Da Ruby a Mameli racconta una attuale storia d'Italia: "La nostra nazione ha 150 anni. È una bambina, praticamente una minorenne». Come Mameli: «Quando scrisse l'inno aveva 20 anni, la maggiore età a quei tempi si raggiungeva a 21, quindi era minorenne pure lui. Comunque con 'sta storia delle minorenni non se ne può più e la cosa è nata proprio a Sanremo, con la Cinquetti che cantava "Non ho l'età" e si spacciava per la nipote di Claudio Villa». E ancora insiste fremente di satira politica: «Non vorrei arrivasse una telefonata: ultimamente sono due quelli che telefonano (Berlusconi e Masi, ndr): uno è qui». Si riallaccia alla storia dei grandi patrioti, ma subito il discorso torna su di Lui: «Silvio Pellico ha scritto Le mie prigioni, un libro bellissimo. Prima di trovare un altro Silvio che scriva un libro così ce ne vuole». Arriva il grande momento del prof di Storia più amato dai giovani italiani, Benigni inizia ad intonare il vero canto degli Italiani addentrandosi  in una lettura esegetica dell'Inno di Mameli tra analisi del testo, Letteratura, Storia e aneddoti storici sui grandi uomini del Risorgimento.”Se non ci si ricorda del passato, non si sa dove si va" dice, parlando del Risorgimento. E' travolgente. Ripete che "dobbiamo parlare dell'Unità d'Italia, perché se ne celebra il 150esimo, e il 160esimo del Festival di Sanremo, che già c'era da prima, fatto da uomini memorabili, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele, Andreotti… "Dov'è la vittoria? / Le porga la chioma / che schiava di Roma / Iddio la creò. Umberto – invoca Benigni Bossi – schiava di Roma non è l'Italia, è la vittoria. Umberto, hai capito? Che c'é lì pure tuo figlio Renzo? Questo Paese è talmente libero che ci si può persino permettere di dire che non si vuole festeggiare l'anniversario dell'Unità. E' talmente grande questo Paese, l'unico Paese dove è nata prima la cultura e poi la nazione". Non possono mancare in questa dichiarazione d'amore all'Italia le donne, le donne del Risorgimento, donne che hanno combattuto per noi come "la Paolucci, Anita Garibaldi morta incinta per seguire suo marito, le madri che avevano fatto i circoli e si scrivevano, cercavano i figli e i fratelli, erano donne straordinarie e non hanno avuto mai diritti". Conclude la lectio magistralis con un tonfo di teatro con la sua versione dell'Inno e lo restituisce a tutti noi Italiani. Il premio Oscar cavalcando la storia ancora una volta ha trasformato un passaggio televisivo in un evento.

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