Avvisi di accertamento esecutivi: l’Erario fa cassa
Fra i principali provvedimenti contenuti nel Decreto sviluppo, forse il più discusso fra gli addetti ai lavori, è rappresentato dai nuovi avvisi di accertamento. Questo provvedimento vede infatti scomparire la cartella esattoriale per gli avvisi emessi a partire dal primo di Ottobre; essi stessi rappresenteranno infatti il nuovo titolo esecutivo, la pietra angolare su cui si fonderà la rinnovata riscossione delle imposte. La scomparsa della cartella esattoriale segna un punto fondamentale in quanto permetterà di velocizzare l’attività di riscossione. Emesso l’avviso non ci sarà più bisogno di aspettare i tempi biblici per il ricevimento del titolo esecutivo (la cartella esattoriale). L’avviso di accertamento è esso stesso titolo esecutivo che intima il contribuente al pagamento del tributo entro i termini di preposizione del ricorso. I nuovi avvisi di accertamento si basano sulla cosiddetta clausola del solve et repete secondo cui il contribuente non può opporre eccezioni nel ritardare il pagamento di quanto iscritto nell’avviso di accertamento. Ciò significa che il contribuente sarà obbligato al pagamento del tributo iscritto nell’avviso di accertamento entro il termine di preposizione del ricorso, vale a dire sessanta giorni dal suo ricevimento, che possono anche divenire 150 giorni in caso di accertamento con adesione fino ad allungarsi a 196 giorni in caso in cui vi sia la interruzione per la pausa feriale.
Se in questo lasso di tempo il contribuente propone ricorso ed il giudice cui si rivolge ne riconosce successivamente le ragioni, lo stesso potrà attivarsi per farsi restituire quanto indebitamente corrisposto all’Erario. Entro il termine di preposizione del ricorso il contribuente potrà inoltre richiedere la sospensione dei termini di pagamento che nel D.L. sviluppo, approvato in data 21 Giugno alla Camera, corrispondono a 180 giorni. In questo modo, a prescindere dai tempi di dilatazione dei pagamenti, si rischia davvero di dover anticipare in tal modo ingenti somme di danaro all’Erario.
In tale mini riforma si è pensato, infatti, di ristrutturare solo le modalità di riscossione delle imposte senza valutare, anche solo per un attimo, di riorganizzare e riordinare le regole per velocizzare il lavoro delle Commissioni tributarie. Si rischia infatti di ingolfare per carichi di lavoro eccessivi le commissioni tributarie che si troveranno nella necessità di ritardare ulteriormente le loro decisioni circa le istanze dei contribuenti. Quale contribuente non tenterà infatti la strada del concordato con adesione per dilatare il pagamento da 60 a 150 giorni? Quale contribuente non proporrà istanza di sospensione del pagamento? Ancora una volta la bilancia del dare e dell’avere pende tutta dalla parte dell’Erario. Quest’ultimo si vedrà infatti anticipare somme di danaro dai privati senza che questi possano conoscere in tempi equi, se tali somme erano dovute; aspettare la decisione della Commissione tributaria rischia così di divenire un tempo troppo lungo al quale si devono aggiungere i tempi “tecnici” per il rimborso delle somme indebitamente incassate.
Secondo quanto emerge da uno studio recente è emerso che nel 2010 i tempi medi di ritardo nei pagamenti da parte delle Pubbliche Amministrazioni sono stati di circa 86 giorni. Trattasi questo ovviamente di un dato medio che varia da ente ad ente e da zona a zona. Con ciò però si rende ancor di più l’idea del rischio che i contribuenti corrono nel dover anticipare imposte con i nuovi avvisi di accertamento. La clausola del solve et repete è, secondo molti, una bomba ad orologeria che mina nelle fondamenta il sistema dell’economia privata.
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