Quando saremo fratelli uniti
L’anno scorso, dalle pagine di questa testata, più che pronosticarlo lo sperai, intollerabili vent’anni di silenzio per un talento singolare come quello che Mimmo Cavallo ha infine deciso di profondere in una sua nuova opera: “Quando saremo fratelli uniti” (Edel, 10 euro). Un disco (si dice ancora così?) tratto dallo spettacolo teatrale Terroni di Pino Aprile e Roberto D’Alessandro, articolato in 16 tracce che fanno parte di un unico racconto mirabilmente costruito nell’intento di tirare acqua pulita dal pozzo della memoria, di togliere il burqa alla retorica risorgimentale e che meriterebbe, a mio avviso, di aggiudicarsi la prossima edizione del premio dedicato a Rino Gaetano. Lo fa nella forma a lui più congeniale quella del pop-rock che sprizza vigore anche quando sollecita gli italiani del nord e gli italiani del sud a ritrovare le ragioni dello stare assieme, non mancando però di ricordare che si conobbero guardandosi attraverso il mirino del fucile e poi il mirino del pregiudizio. Non v’è dubbio che in altri tempi Mimmo Cavallo, con l’uniforme borbonica provocatoriamente esibita in una foto dell’album, sarebbe stato, senza processo appeso a testa in giù per l’esempio condividendo così la sorte di almeno altri centomila “fiori della macchia …gigli alle bandiere”: briganti …terroni. È dunque rabbioso il grido di Fora Savoia, canzonatorie le parole per Garibardo, orgogliosa la rivendicazione di un passato che non prende porto ancora ma che sta nei vicoli bui e su ogni pietra scolpita della Mediterranea: la sola Patria a cui levare un inno, un fiore rubato. Patria colpevole di un’arretratezza procurata da chi gliela rimprovera. Così va il mondo: la gallina fa l’uovo e al gallo gli brucia il “mazzo” …anzi spudoratamente canta anche lui.