Jus culturae
Le parole di Napolitano secondo cui i bambini nati in Italia debbano automaticamente diventare italiani persuade all’esercizio molti politici e opinion makers, indaffarati tra lo jus sanguinis e lo jus soli; c’è da dire, a testimonianza della urgenza di regolare al meglio la concessione della cittadinanza agli stranieri, che ad oggi nelle competenti commissioni parlamentari risultano assegnate ben 28 proposte di legge, che non riescono a confluire in un testo unico, ragionevole e condiviso. C’è una maggioranza che (malgrado le diverse sfumature) condivide sinceramente l’opportunità di riconoscere la cittadinanza ai figli degli immigrati, magari al termine di un ciclo scolastico o che risiedano stabilmente in Italia. Ci sono quelli che ne sottolineano la convenienza (è un affare, dicono) e chi invece oppone una ferma avversione a quello che a me pare, invece, un elementare principio di convivenza civile: come puoi volere che siano buoni cittadini quelli a cui neghi il diritto di esserlo? Si distinguono tra quest’ultima categoria quelli che hanno quantificato in “danè” il tornaconto possibile, e che tra “vecchi e nuovi italiani” cominciano a non voler essere italiani tout court, come dice dalle pagine di “Libero” Gilberto Oneto, l’amico personale e collaboratore dell’ideologo padano Gianfranco Miglio che pensava di consegnare il Sud alla mafia e che già a Firenze era disturbato dalla “puzza di meridionale”. Oneto ha passato gran parte della sua vita a costruire il mito della padanità, una identità tanto fragile che ha bisogno di teorie razziste, che declassano l’”altro” per poter esistere. Ad ogni buon conto c’è però di che rallegrarsi se il neoministro Riccardi, nella sua prima uscita pubblica, a Napoli, ha voluto far risaltare l’essenza dello “jus culturae, quello di persone che sono impregnate di cultura italiana e che non possono essere che nostri concittadini”. Forse Riccardi sa che, già nel 1817 (quasi 200 anni fa!), il sovrano del Regno delle Due Sicilie regolò la materia della naturalizzazione degli stranieri con generosità e nobiltà d’animo, palesando una lungimiranza che stride assai con certe pochezze di oggi.