Il presepe
Come una sorta di rappresentazione teatrale, accoglie le diverse scene e i figuranti sono resi talvolta con un tono realistico, altre volte con un occhio più divertito. Rispetto agli altri presepi, il presepe napoletano si contraddistingue per la mancanza della grotta. Il Bambino Gesù nasce in un tempio in rovina, simbolo del trionfo del cristianesimo sul paganesimo. Artisticamente, la voglia di porre il tempio è strettamente connessa alle scoperte archeologiche di Pompei e Ercolano e quindi "alle rovine e alle chincaglierie antiche" riportate alla luce per volere di Carlo III di Borbone, amante dell' arte e della cultura. Numerosi scritti testimoniano la fede che accompagnava la vita dei reali di Napoli ma la volontà di costruire il presepio divenne ben presto un prodotto di cultura popolare. Il primo re ad avere in dono un presepio fu Filippo V nel 1702. Quando il figlio Carlo salì sul trono di Napoli e della Sicilia La diffusione del presepio anche nelle fasce più emarginate ebbe inevitabili riflessi sulla produzione. Accanto agli artisti che producevano per i signori e per i luoghi della fede, si moltiplicarono semplici artigiani impegnati a rifornire il popolo minuto. Artisti,artigiani, nobili e povera gente dal mese di novembre si animavano per creare figurire in ferro e terracotta da collocare nel paesaggio riprodotto in legno, sughero, carta, ferro. I pastorelli erano rivestiti con i pregiatissimi tessuti di San Leucio e abbellite con ricami, gioielli e monili. I singoli personaggi venivano riprodotti nelle loro occupazioni quotidiane: il pastore con il gregge, l’ oste, il macellaio, la lavandaia, il calzolaio… Capofila della schiera degli artisti fu Giuseppe Sanmartino. Nella sua scia avanzarono artisti di notevole talento quali: Francesco Celebrano, Domenico Antonio Vaccaro e altri. La richiesta era così ampia, nel secolo d'oro, che tutta la Napoli artigianale s'impegnò nella produzione di presepi toccando alte vette di specializzazione. Specialisti della cera realizzarono strabilianti cestini di frutta e di verdura. Per i costumi sarti importanti come Mastro Matteo e Nicola Ferri si ispirarono ai disegni folcloristici di pittori di buon livello e il valore dell'oreficeria di un solo presepe nobiliare fu valutato in ventimila ducati. Il presepio diventò un documento della vita popolare: in alcuni scenari figurano miseri carruoccioli – carrettino di legno a quattro ruote – a ironica imitazione degli aristocratici volantini tirati da cani e capretti. Il presepio fu anche una galleria di ritratti della nobiltà e della borghesia, giacché molti artisti, a cominciare dal Sanmartino, diedero ad alcune figure le sembianze dei loro mecenati. Ancora oggi è possibile vedere la bellezza di tale operato visitando la sala presepiale della Reggia di Caserta o il Museo Nazionale di San Martino (a Napoli). Oggi è possibile osservare taluni di questi esempi presso il Museo Nazionale San Martino a Napoli. Se oggi sono gli artigiani di San Gregorio Armeno a creare i pezzi più significativi evidenziando le loro capacità tramandate di generazione in generazione, nel '700 erano le dame di compagnia della regina Maria Amalia di Sassonia a cucire gli abiti delle statuine mentre il re Carlo si interessava della loro disposizione. Pur non trattandosi di pezzi scultorei di grande importanza come quelli del Vaccaro o del Sanmartino, è bene considerarli testimonianza del passato e prodotto della storia del costume napoletano. Il declino del presepio coincise con il tragico fallimento della Repubblica napoletana del 1799. Il rilancio fu avviato da Ferdinando II, ma gli artigiani non erano più quelli di una volta. Grandi artisti a tutto campo al presepio non si accostarono più. Ma generazioni di abili artigiani sopravvissero nelle loro botteghe. Mai la gente napoletana rinunciò al presepio neanche nei momenti di crisi e ancora oggi è possibile riscoprire la passione per le strade di San Gregorio Armeno.