Zezolla

La cancellazione dell’antica toponomastica e lo smantellamento sistematico di tutti i gigli dai monumenti furono le primissime conseguenze dell’arrivo di Garibaldi a Napoli, avvisaglie d’un processo di sradicamento e disidentificazione prima politico e poi sociale, economico e culturale. Come in un perfetto sistema coloniale, per il consenso e con l’inganno, si operò per annientare i riferimenti tradizionali della comunità meridionale che apprese in tal modo il disamore verso la propria Terra. L’immensa, millenaria e gloriosa storia del Mezzogiorno fu mistificata, ridotta all’ambito locale spesso tracimando nel folclore …e nel ridicolo. Riappropriarsi di quelle coordinate, riannodare quel filo colpevolmente spezzato, riedificare quella identità, tradita da servili scrittori salariati, significa porre le basi per ricostruire il Sud, magari anche con le novelle di Giambattista Basile.
Sono, per fortuna, ancora tanti i genitori che raccontano favole ai loro bambini, non più i racconti “della nonna” che nel vicolo o attorno al braciere tramanda con toni suggestivi e popolari, avventure e vicende di personaggi tradizionali, oggi i tempi impongono piuttosto le favole classiche, quelle che Walt Disney ha rielaborato in chiave moderna dai celeberrimi fratelli Grimm o dall’altrettanto celebre Charles Perrault. Sono in pochi però a riconoscere in quelle, le 50 fiabe che nel Seicento Giambattista Basile scrisse in una lingua napoletana seducente, e raccolte nel “Lo cunto de li cunti, overo Lo trattenemiento de peccerille”, il più antico, il più ricco e più raffinato fra tutti i libri di fiabe popolari.
Leggendone scopriamo che tutta la produzione favolistica europea ha attinto a piene mani dalle prime versioni di Basile del Gatto con gli stivali, della Bella addormentata nel bosco, Pollicino, Le fate, Pelle d’asino, Raperonzolo, Cenerentola che in origine era Zezolla, “La gatta cenerentola” che grazie anche alla trasposizione teatrale di De Simone è forse la più famosa. Di certo più attenti alle Mirandoline venete che alle Zezolle napoletane ci manca qualcosa, ci siamo ad esempio dimenticati di sistemare una targa sullo scalone del palazzo Reale di Napoli: “Qui Cenerentola perse la sua scarpetta”, e l’assenza plurisecolare di tale indicazione incide notevolmente sulla nostra memoria e su rilevanti aspetti turistici ed economici.

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