Il fracasso del silenzio

La fotografia che Alexandre Dumas scattò mentre si accompagnava a Garibaldi nel saccheggio del Sud non è mai scolorita, il “paradiso abitato da diavoli” ha sempre trovato illustri conferme fino a “L’inferno” che Giorgio Bocca ha voluto localizzare dalle nostre parti. E quando lo stesso celebratissimo Bocca, sul Venerdì di Repubblica volle dichiararsi apertamente razzista e antimeridionale, nessuno eccepì. Naturale è stato quindi metabolizzare le sguaiataggini di Borghezio, Calderoli, Savini, Bossi e con loro la pratica dell’insulto al meridionale, violenza verbale sdoganata perchè assai impunemente esercitata, in Parlamento come negli stadi, ed ora anche negli aeroporti.
Il fattariello è avvenuto qualche giorno fa all’aeroporto Marco Polo di Venezia dove l’addetta al check-in della compagnia EasyJet ha chiuso l’imbarco del volo per Napoli, sebbene vi fossero in coda alcuni passeggeri che regolarmente si erano presentati 45 minuti prima del volo. Alle civili, ovvie e giuste proteste che sono andate dal consueto “è una vergogna!!” a qualche frase pronunciata in napoletano, l’impiegata invece di scusarsi a nome della compagnia per l’inconveniente, proponendo magari una soluzione alternativa, non ha trovato di meglio che insorgere con arroganza: “imparate a parlare l’italiano” e, insolente, “se Napoli non ci fosse, tutto andrebbe meglio”. La denuncia alla Polizia aeroportuale dei quattro napoletani tornati poi a casa con un’auto presa a noleggio, ha di fatto costretto ad una risposta ufficiale che nel confermare l’accaduto è infine arrivata: “…la Compagnia si scusa per ogni inconveniente o disagio causato ai passeggeri e ribadisce che l’obiettivo di EasyJet è rendere il viaggio semplice e accessibile a tutti e permettere ai passeggeri di viaggiare facilmente in tutta Europa. La Compagnia sta indagando su quanto accaduto ma esclude che le dichiarazioni fatte dal suo staff avessero intenti razzisti. EasyJet sostiene, e ha sempre sostenuto, le opportunità offerte dalla diversità e dal multiculturalismo”. Qualche parola messa in croce per prodursi nel classico rimedio peggiore del danno, nessuna traccia di condanna per il fanatismo antimeridionale della sua impiegata ma una ostentazione di internazionalità e di larghezza di vedute che, ci mancherebbe, non lascia fuori neanche i napoletani, anche se (questo si) sono un po’ diversi, un po’ piagnucoloni e un po’ attaccabrighe (però so’ simpatici dice ancora qualcuno).
Troppo a lungo di innumerevoli episodi simili non si è voluto parlare, sono stati considerati piccolezze d’irrilevante valore, si è minimizzato, si è taciuto. Ne “La secessione allegra” Paolo Rumiz qualche anno fa annotò le parole di un suo amico di Sarajevo: “Non è stato il fracasso dei cannoni a uccidere la Iugoslavia. È stato il silenzio. Il silenzio sul linguaggio della violenza, prima che sulla violenza”.

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