Gli scatti fotografici di Kevin Carter
Gli scatti fotografici di Kevin Carter sono il tipico caso in cui una realizzazione d’autore giunga a livelli di universale notorietà e valenza, al punto da lasciar sfumare il nome del proprio creatore e da sostentarsi con la potenza del proprio intrinseco messaggio. Nato in Sudafrica, a Johannesburg, dopo una gavetta da fotografo sportivo, Kevin Carter decise di documentare le condizioni di vita prodotte dal regime di apartheid; fu una svolta che segnò in modo sconvolgente la sua vita, nonostante la notorietà che gli avrebbero fruttato le sue fotografie. Il soggetto di queste fu l’istinto disumano con cui uomini infliggevano ai propri simili torture indicibili, furono le condizioni di denutrizione vissute da milioni di esseri umani, le conseguenze raggelanti di ogni guerra, capaci di sradicare dall’umanità ogni residuo di pietà. Carter documentò con la propria macchina in diversi Paesi, tra cui la Somalia degli anni ’90, dove la guerra è stata l’unico pane quotidiano per la popolazione innocente; fu il primo a rappresentare in cosa consistesse il supplizio del pneumatico, o necklaced, di cui qui si ometterà la sostanza, tanto brutale quanto altre scene immortalate dai suoi scatti e che non si consigliano a persone di particolare sensibilità. Elencare dettagli e contesti delle sue foto risulta doloroso, perché la spietatezza che ne deriva è illimitata. Lo scatto che ha consegnato alla storia l’attività di Carter è tuttavia un altro, realizzato in Sudan, che inquadra una bambina priva di vestiti, raccolta sulle ginocchia e priva di ogni energia, troppo distante dal centro di distribuzione alimentare che aveva intenzione di raggiungere. Carter rimase fermo venti minuti ad inquadrarla, e nel campo visivo si sovrappose un avvoltoio; effettuò la scatto, dopodiché scacciò il rapace e andò via, attirandosi indignazioni planetarie; ribatté che quella bambina non fosse una sola bambina, ma la raffigurazione casuale di migliaia di identici casi nei teatri di guerra e di crudeltà assoluta. Con questa foto, divenuta universalmente nota, Kevin Carter avrebbe vinto il Premio Pulitzer nel 1994; tuttavia, egli recise ogni legame con la vita nel luglio dello stesso anno, avvelenandosi con i gas di scarico della propria auto e dopo aver lasciato una nota di protesta sui sedili posteriori, che ritengo giusto riportare per intero: “Sono ossessionato dai ricordi di omicidi improvvisi e dai cadaveri, dalla rabbia, dal dolore di bambini che muoiono di fame o di feriti di grilletto facile, come la polizia, autentici carnefici”. Tempo prima, sempre lui aveva scritto che vedere gli orrori di guerra al tg o al cinema, su una scala da 1 a 100, corrispondeva a 1, rispetto al 100 della visione diretta. Il suo gesto estremo fu un atto di protesta disperato, straziato, esploso contro tutti quegli uomini che “tanto, anche quando disertano l’inferno, lo ricostruiranno altrove”.