Dedicato ad Andrea
Morire per le complicazioni di un’aritmia cardiaca sfociata inopinatamente in un arresto cardiocircolatorio mortale nella ricca ed avanzata Lombardia, dove la sanità pubblica funziona meglio che in tutto il resto d’Italia, è proprio dura da mandare giù, tanto più quando ad essere colpito è un ragazzo di diciassette anni di nome Andrea. Ancora più dura da accettare è la realtà, quando il ragazzo in questione è uno studente dell’istituto dove insegni, e seppur non è stato un tuo allievo, lo hai incontrato ed incrociato nei corridoi centinaia di volte nei circa quattro anni di frequentazione della scuola dove si insegna. Dove ti consideri non solo il loro insegnante ma, il loro padre, il fratello maggiore, l’amico, il confidente, l’educatore, l’adulto che deve dare l’esempio sempre e dovunque. Eppure, con la morte ho sempre avuto a che fare sin dalla più tenera età, da quando ho sperimentato l’amara realtà della scomparsa dell’amato nonno e dell’altrettanta amata nonna, dei mie genitori, dei miei amatissimi zii, dei miei amici intimi e meno intimi. Ciononostante, non riuscirò mai ad accettare con cristiana rassegnazione la scomparsa di un ragazzo alle soglie della vita. Sono un tipo troppo emotivo e niente affatto atarassico, è il mio tallone d’Achille, lo è e lo sarà sempre! Quando in chiesa ho toccato per un ultimo saluto la bara di Andrea, che conoscevo solo di vista, immediatamente ho avuto un senso di mancamento, di vuoto, è stato come se all’improvviso mi fossi trovato sull’orlo di un baratro guardando in giù, dove un buio più nero della pece mi impediva di vedere il fondo infinito. Può la morte rischiarare la vita più di quanto la vita possa rischiarare la morte? Per me no! Invidio quelli che con beata rassegnazione, confidando nella resurrezione dei morti pensano che sia solo una parentesi momentanea. Per un credente è solo un momento di passaggio, per i non credenti è la fine di tutto. E’ possibile accettare che con la morte fisica del corpo tutto si esaurisca? No! Non è possibile, ed allora affidiamoci alla fede, e portiamo avanti con dignità la nostra vita finché il soffio vitale è in noi. Nell’alzare lo sguardo per paura di cadere nell’immaginario vuoto buio profondo, ho incontrato il viso della madre di Andrea, sofferente ma composto, senza lacrime né sussulti, guardava la bara immaginando che il figlio stesse solo affrontando un lungo viaggio che l’avrebbe condotto verso l’eternità. Quel volto triste ma composto mi ha riportato al momento presente, mi ha ridestato dell’incubo ad occhi aperti, dandomi il coraggio di affrontare quella triste realtà. Pensavo a come avrei reagito io alla perdita del mio adorato ed unico figlio. Di sicuro non avrei avuto la compostezza e la rassegnazione di quella madre, nonostante che lei, a differenza di me, avesse dato la vita ad Andrea. Osservando lei e riflettendo sull’atteggiamento di quella donna affranta, sofferente e distrutta nel suo essere intimo, ho capito che il suo atteggiamento era molto più corretto del mio fantasticare sulla irreale scomparsa che avrebbe potuto colpire me. Lei era lì, davanti a me con il figlio morto, ed io invece, maggiormente addolorato per l’immaginazione di un lutto che non mi riguardava direttamente. Ho toccato per una seconda volta la bara che avvolgeva come un ligneo sarcofago lucente il corpo immobile di Andrea e sono uscito dalla chiesa in preda ad una tristezza infinita. Purtroppo, io non riuscirò mai ad accettare la morte come un fatto naturale, specialmente se ad essere mietuta dalla livellatrice spietata, crudele ed insensibile di tutti i mali, è una giovane vita.