Una riflessione sullo sviluppo industriale di Caserta

Questa sera si svolgerà, nella Libreria Feltrinelli, a Caserta, ore 18:00, una Conferenza di Paolo Broccoli sullo sviluppo industriale di Caserta negli Anni Sessanta, ovviamente anche in relazione agli esiti, che già sappiamo essere quasi fallimentari. L’incontro è organizzato dall’Associazione Liberalibri (http://www.liberalibri.it/index.htm). E tuttavia, le premesse di quella stagione, sulla carta, furono ben diverse, ben più positive degli esiti. Il che farebbe sorgere il problema di che cosa non ha funzionato, e probabilmente più d’una cosa non ha funzionato, ma è tema che travalica amplissimamente questo articolo.
Va detto sempre che, storicamente, la Provincia di Caserta, è stata una Provincia di orientamento liberale ed in cui l’imprenditoria, in una forma o in un’altra, è sempre stata molto presente.
Ma veniamo agli Anni Sessanta del secolo scorso. Guardando la situazione attuale, nulla farebbe presagire che la Provincia di Caserta, in particolare il capoluogo, sia stato al centro del processo di industrializzazione degli Anni Sessanta. Ma, invece, così è stato. In quegli anni, grazie alla vicinanza col Porto di Napoli, l’autostrada a due passi, e tuttavia non dentro la “bolgia” della Provincia di Napoli, Caserta sfruttava il suo vantaggio posizionale, lo sfruttava male però, davvero molto male, e gli esiti disastrosi ne sono stati l’inevitabile conseguenza. Era quella l’epoca del boom e dello “sviluppo” – che in quel momento si equivaleva  solo allo sviluppo industriale – di tutto il Sud; fu scelta fatale, fatalmente sbagliata e tuttavia, nell’errore, ne hanno fatti due: primo, scegliere una via errata; poi, sceltala, bloccarla “in corso d’opera”, cosa che non si fa mai, con una deindustrializzazione ancor più shockante del processo di industrializzazione.
In tal modo, tutto il Sud, e Caserta in particolare, non solo non è più industriale, ma non è nemmeno terziario, non è neppure turistico, e neanche basato sulla cultura, questa illustrissima sconosciuta dalle nostre parti, salvo sia un innocuo “divertissement” borghese. I dati li si può trarre, tra le altre fonti possibili, da Lina Tamburrino, Industria pubblica e Mezzogiorno, Editrice Sindacale Italiana, 1966, pp. 62-63, p. 95 (cortesia di Paolo Broccoli).
Tuttavia in quell’epoca vi fu un fatto positivo, purtroppo perso nel corso del tempo, e cioè una cresciuta consapevolezza del ceto operaio, cosa del tutto rarissima, in Italia, dove tale consapevolezza si è persa nelle regioni in cui era storicamente forte, ancor più rara in una regione del Sud, e praticamente un “unicum” a Caserta; Caserta e consapevolezza: trattasi di un ossimoro. Ripetere ciò che tutti dicono, accodarsi sperando di averne dei vantaggi senza poi averli, e quindi pagare il doppio per avere la metà senza capire come ciò possa succedere, ripetendo lo stesso errore con indubbia musicalità (ovvero “ad libitum”): ecco ciò che da noi è normale, essere consapevoli non rientra nella norma. Quindi una stagione di lotte del tutto fuori norma da queste parti. La Saint Gobain fu un caso interessantissimo, vedere cosa n’è oggi è molto significativo. Dopo anni di lotte, fu chiusa. Il suo territorio, che copriva pure delle parti dell’antica Calatia, è oggi divenuto terreno costruito cioè l’unica industria rimasta e quella che ha coperto tutte le altre, l’edilizia. Anche questa scelta di privilegiare l’edilizia non è che sia stata così pagante per l’interesse generale. Ma cosa sarà poi questo famigerato “interesse generale”? Forse l’interesse “colonnello” sarebbe meglio, solo che il termine colonnello a taluni evoca spiacevoli ricordi. Forse l’interesse “maggiore” andrebbe bene? E di chi è l’interesse maggiore se non di chi possiede le più grosse concentrazioni di denaro… Come diceva qualcuno: il “principio informatore”, chi ha denaro detta legge.
In effetti, il caso Caserta è interessantissimo: qui son riusciti ad unire, con sapienza rara, con attenzione notevolissima, con sprezzo totale dell’interesse individuale, pensando solo e soltanto all’interesse generale, son riusciti ad unire gli effetti deleteri dell’industrializzazione a tappe forzate con gli effetti deleteri della deindustrializzazione, sempre a tappe forzate. Si è molto eclettici dalle nostre parti, si sa ben cercare, trovare, unire il cattivo dovunque si trovi. Pertanto i mali derivanti dall’industrializzazione si son saldati con i mali derivati dalla deindustrializzazione. Ma, si dirà, dei beni ne son derivati, nessuno può negarlo, nessuno. Il punto è che si deve avere una visione complessiva e cioè, al termine di una vicenda, di un processo storico, quali ne sono gli esiti finali: ecco il tema decisivo. E che oggi la vicenda dell’industrializzazione a Caserta sia ormai concluso è davvero chiarissimo, ma che abbia segnato, nel bene così come nel male, tale territorio è altrettanto, se non più, chiaro.
Lo scopo dell’industrializzazione a tappe forzate era quello di ridurre lo spazio delle coltivazioni agricole e, poi, lo scopo della deindustrializzazione a tappe forzate era liberare questo territorio e farlo espandere, il tutto nell’ottica della de-storicizzazione di una terra, che doveva diventare una vasta zona priva di caratteristiche pregresse, utile per costruirvi su o per le cosiddette discariche. Noi dobbiamo sempre tener conto di quest’ultima cosa, è una terra territorialmente sovvertita. In questo ha fatto la fine dell’Aversano e del Napoletano, quindi nulla di nuovo, solo che le premesse, sempre sulla carta, del progetto di “sviluppo” di questo territorio sarebbero state quelle di sottrarlo al destino già scritto e segnato della “Liburia” aversana e del Napoletano. Così non è stato.
 
 

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