Quel Petrarca arido avverso agli “Eroici furori” di Bruno
Caposaldo della filosofia nolana di Giordano Bruno, “Gli eroici furori” furono pubblicati a Londra nel 1585. L’opera è imbevuta di ispirazione neoplatonica, richiamandosi a Marsilio Ficino sul tema dell’iter discendente che l’anima, di derivazione divina, compie fino a rendersi corpo materiale, attraverso le tappe dell’intelletto,della ragione, dell’opinione e della natura. Analogamente, l’anelito dell’anima che si volge alla contemplazione divina compie un cammino ascensionale inverso, tramite vari gradi di “furore”, descritti ed ordinati da Ficino come furore poetico, sacerdotale, profetico e d’affezione d’amore. Bruno, il quale abbandonò il proposito iniziale di intitolare l’opera “Cantica”, rimarca un principio battezzato da Platone nel celebre “Fedro” e riproposto da Ficino nel “Convivium”, secondo il quale possono ricongiungersi a Dio soltanto quelle anime dedite alla Bellezza eterna, che per i neoplatonici è emanazione (per esempio in Plotino) o corrispondenza divina; quelle anime avvinghiate al richiamo esclusivo della bellezza esteriore, transitoria e ritenuta addirittura fallace per errore di giudizio, non acquistano invece quel furore divino degno della Bellezza divina. Sono questi, in sintesi, i punti di riferimento per l’impianto di Bruno nei suoi “Furori”, alla luce dei quali si può leggere la polemica, o magari la presa di distanza, da certa poetica petrarchesca. Assunto che soltanto l’esperienza della Bellezza spirituale ed eterna possa elevare l’anima a dimensioni metafisiche, il nolano mette sotto lente i versi del Petrarca, operando nel proemio degli “Eroici furori” un’ importante distinzione: i versi sommamente ispirati del poeta aretino sono un naturale varco d’accesso all’esperienza d’amore metafisico, una verità ineccepibile di cui si glorifica l’alto valore poetico da secoli, dunque anche nel Cinquecento. Ciò che Bruno scardina è quella lirica che si trasforma in poesia per così dire di maniera, fatta di stilemi e topos petrarcheschi di mera convenzione. Qui c’è la crepa che sbarra la strada al furore mentale e del cuore di chi desideri puntare alla Bellezza ineffabile, secondo il filosofo: in questo decadimento strutturale la poesia petrarchesca si inaridisce, non si irradia più di propositi ascensionale, si disperde nell’esercizio metrico e figurativo, senza però essere privilegio per un raffinamento d’anima; lì ci si allontana dalla Bellezza ineffabile, l’ascesa neoplatonica viene troncata e calamitata nuovamente nella carne, ridiventa materialità, disconosce il furore dell’estasi, dell’eccesso, della tensione all’infinito. Giordano Bruno creò un’opera immortale come i propri contenuti, armonizza i suoi temi dell’amore e della conoscenza secondo una prospettiva nobile, trasforma la vita umana terrena in bene metafisico per il cammino dell’anima, libera di levitare dal corpo corruttibile e di riversarsi nel flusso della superiore conoscenza e della Verità eterna.