Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino
“Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino” (“Wir Kinder vom Banhof Zoo) è un romanzo nato dalle interviste di Kai Hermann e Horst Rieck, due giornalisti del settimanale tedesco “Stern” che nel 1978 intervistarono Christiane Vera Felscherinov, imputata per detenzione di droga e ricettazione. La ragazza fu inizialmente ritenuta colpevole ma poi la condanna fu sospesa con la condizionale poiché all’epoca dei fatti era minorenne. Il processo iniziò con la denuncia a carico di Heinz W. per spaccio di eroina ed abuso sessuale nei confronti di Christiane e Babsi, entrambe minorenni. Le interviste furono trasformate in un romanzo che fu pubblicato a puntate sul settimanale nel 1978, suscitando profondo scalpore, rendendo Christiane famosa ed aprendo gli occhi del mondo al problema della droga; in Italia il romanzo fu pubblicato nel 1981, anno in cui in Germania uscì il film omonimo.
La protagonista del romanzo è appunto Christiane, una ragazzina che a soli dodici anni entra nel girone infernale della droga, partendo dall’hashish ed arrivando a diventare una “bucomane”, passando per la prostituzione ed il manicomio. Christiane vive un’infanzia turbolenta, segnata dalla violenza del padre (“lui prendeva lo scopettone in cucina e me le dava da matti… E quando di notte vedeva disordine, mi tirava fuori dal letto e mi picchiava”) , dal divorzio dei genitori e dalla separazione dalla sorella, che va a vivere con il padre. Dai dodici ai sedici anni il tunnel della droga le fa attraversare esperienze estreme, fino ad arrivare al tentativo di raggiungere il “buco ultimo”. Anche Detlef, il suo primo amore, si droga e si prostituisce con gli omosessuali per procurare la dose per sé e per Christiane. Questi ragazzi vivono situazioni familiari disagiate ed arrivano a vedere tutta la salvezza in una bustina di eroina. Si sentono insoddisfatti nei confronti di una società che non crede in loro e non offre loro opportunità (“Spesso riflettevo sul perché i giovani erano così miseri. Non riuscivano ad avere gioia di niente. Un motorino a sedici anni, una macchina a diciotto… E se questo non c’era allora uno era un essere inferiore… Ammazzarsi di lavoro per un appartamento, per un nuovo divano, come aveva fatto mia madre, questo non esisteva…”).
Alla fine Christiane ce la fa ed il libro termina con la speranza di avere un futuro migliore (“Da quasi un anno non ho più bucato. Ma so naturalmente che ci vogliono un paio d’anni per poter dire che uno è proprio pulito”).
Oggi la situazione è diversa perché se ne parla di più, il problema della droga è conosciuto ed anche se molto presente, di sicuro non così tanto come negli anni Settanta, o almeno non così ignorato. Ma spesso la società preferisce comunque essere sorda e fingere che problemi del genere non esistano: i genitori ignorano il problema, i figli non parlano e la situazione precipita!
Vittorino Andreoli ha definito questo libro “un neorealismo della droga” poiché “le parole di Christiane F. sono pugni dentro la coscienza di ciascuno”. Il racconto viene spesso interrotto dalle testimonianze della madre di Christiane e delle persone coinvolte nella vicenda, per dimostrare che non si tratta di un’invenzione, ma di una storia tristemente vera. Una testimonianza che fa riflettere sulla droga e sul senso della vita, un senso che molte volte sfugge e fa pensare che l’unico motivo per vivere sia prendere quelle che sembrano scorciatoie come la droga, la prostituzione, il furto, ma che, in realtà, finiscono per diventare delle gabbie il più delle volte, purtroppo, senza uscita!