La vendemmia: connubio di lavoro e tradizione
La vendemmia ha un valore storico ed antropologico che risale a tempi molto antichi. Esso si è tramandato di padre in figlio, di generazione in generazione per migliaia di anni attraverso tecniche agricole, rituali religiosi e tradizioni contadine.
Nella cosiddetta Mezzaluna Fertile la vite si coltivava dal 10.000 a.C., quando la vendemmia già aveva un carattere sacro e sociale poiché era segno della misericordia divina e momento di aggregazione tribale. Il vino è da sempre considerato un dono del dio Dioniso o Bacco, prelibatezza dei suoi opulenti banchetti ma anche prodotto capace di stordire gli uomini e avvicinarli al vizio.
Della viticoltura italiana abbiamo notizia a partire dal secolo X; allora la vendemmia aveva inizio con un atto del comune o del signore non prima della festa di S. Maria de vindimia (8 settembre) ossia quando il contenuto zuccherino degli acini sarebbe stato tale da permettere di ricavarne una bevanda con un determinato grado alcolico. Alla raccolta dell’uva partecipavano un numero elevatissimo di uomini e donne – gli uni venivano pagati il doppio delle altre – che dovevano abbandonare tutte le altre attività. Gli operai partivano dalle loro case a piedi o con carri trainati da asini, buoi o cavalli che contenevano attrezzi, tini, ceste, fagotti con pane e formaggio. Si dirigevano verso la vigna e si trascorreva l’intera giornata tra i filari lavorando, cantando, raccontando storie poiché la vendemmia era considerata una festa. Quando le ceste erano piene, le donne le trasportavano sulla testa verso il punto di raccolta (sul carro nel tino o per terra su di un telo). Solo quando il tino era colmo si rientrava in paese; era il momento di separare gli acini danneggiati dalla buona uva affinché diventasse vino. Nelle cantine già era pronto un tino pulito e delle botti. Successivamente nel cortile di casa le donne schiacciavano gioiosamente l’uva con i piedi come se fosse una danza, mentre gli uomini le accompagnavano con musiche e balli. Il liquido ancora misto ad impurità fuoriusciva da un foro sul fondo, mentre la parte più densa – le vinacce – venivano raccolte in ultimo e passate nel torchio. I lavoratori erano soliti prelevare un po’ del liquido appena fuoriuscito (mosto) e brindare al buon esito delle operazioni. Nulla veniva gettato: dalla vinaccia, infatti, si otteneva la grappa o l’acquavite.
In passato, dunque, l’uomo compiva personalmente tutte le operazioni riguardanti la vendemmia dall’inizio alla fine. Oggi il modo di operare è radicalmente cambiato. La vendemmia ha cessato di essere un rito, le macchine hanno sostituito gli uomini. Negli anni ’60, infatti, nasce il primo prototipo di vendemmiatrice, macchina a scuotimento verticale che portava alla separazione di alcuni acini dal rachide. Da quel momento i ricercatori si sono dedicati a costruire macchine che permettessero di agevolare la raccolta dell’uva: vendemmiatrici, defoglianti, scuotitrici, potatrici, raccoglitrici. I loro obiettivi sono la riduzioni dei costi, la velocizzazione del lavoro, la qualità dell’uva e la sicurezza degli operatori. Sono obiettivi positivi ma che, sfortunatamente, hanno causato la scomparsa di una tradizione secolare.