E Guzzanti coniò il verbo “perplimere”
Le parole, a differenza di molti umani, per guadagnarsi spazio in un dizionario devono fare lunga gavetta; gli tocca attraversare tutto l’iter di approvazione linguistica e lessicografica, per ottenere l’attestazione di lemma diffuso e riconosciuto e quindi per poter essere accolte nell’alveo di un sistema linguistico organico. Non accade quindi che, al primo squillo di pronuncia, un termine sia già ufficiale; occorre affrontare prima degli step che, specie di recente, avvengono nelle piazze virtuali di chat room e social network. Tra i neologismi sorti negli ultimi anni, sembra lievitare in misura poco più che modesta l’uso del verbo “perplimere”, ovvero l’atto di chi o di qualcosa che rende perplessi. Ricercando a ritroso, la coniazione del verbo si attribuisce alla scrittura per lo spettacolo creata da Corrado Guzzanti, che tra il ’91 e il ’93 rese ben nota la trasmissione di Rai 3 “Avanzi”, condotta da Serena Dandini. Gli interventi del brillante Guzzanti dissacravano termini di impiego comune, li stropicciavano ricavandone altri: nacquero così “psicanale” da “psicanalista”, “sopravvolare” da “sorvolare” e tutta una fucina di calembour successivi. Ma, come rimarca anche la Crusca sul proprio sito attraverso un articolo, “perplimere” ha una risorsa in più; nato per arguta ricerca parodistica con effetti comici, esso colma un vuoto semantico della nostra lingua: non esiste, infatti, voce verbale che in modo sintetico e senza locuzioni esprima l’azione del rendere perplessi. Foneticamente risulterà bislacco, più che sgradevole, eppure “perplimere” si presta ad una regolare coniugazione, sul modello di voci verbali affini nel suffisso all’infinito (“opprimere”, “imprimere”, “deprimere” o “comprimere”) e in quello del participio passato (non a caso, “perplesso” affine ai vari “oppresso” o “impresso”). Dalle puntate di “Avanzi” è trascorso un ventennio e, tuttavia, questa breve illustrazione non vuole avere movente archeologico; è motivata, anzi, da un comprovabile ricorso al termine per gli italofoni, un uso contenuto, ma che nel proprio saltuario spuntar fuori fa sperare che, magari tra dieci anni, lo stesso verbo avrà il doppio dell’attuale diffusione. Allora sì che verrà adornato dello statuto ufficiale di lemma e riceverà la dignità linguistica da dizionario. Occorreranno gavetta e costanza; per esempio, nello scrivere il pezzo, il programma informatico non ha riconosciuto la voce “perplimere”, che resta fuori dal suo vocabolario e viene quindi bollata con una puntuale strisciata rossa. Per ora, almeno per un software, “perplimere” è poco meno di un errore lessicale.