Valeria Golino in “Come il vento”: la vita di Armida Miserere
Armida Miserere era stata direttrice del carcere di Lodi, donna dal temperamento bifacciale, atto ad assolvere al proprio ruolo istituzionale che non può concedersi incrinature emotive. Il 28 novembre uscirà in Italia “Come il vento”, per la regia di Marco Simon Puccioni, con Valeria Golino e Filippo Timi nella prima linea del cast. La pellicola, fuori concorso all’appena concluso Festival del Film di Roma, secondo una libera ispirazione ripercorre le vicende di vita di Armida (Valeria Golino), che intraprende la carriera penitenziaria nei primi anni Ottanta. La storia italiana del decennio pulsa lungo la trama, crea sfondi inquietanti che faticano a liberarsi dall’orrore del “piombo”. Armida si innamora di Umberto (Filippo Timi), educatore penitenziario a stretto contatto con i detenuti; lui le corrisponde, tra le fatiche della distanza vanno a vivere insieme e affidano il futuro ad idealistiche speranze. Superano assieme la ferita di un’interruzione di gravidanza, mentre la Storia si affaccia al nuovo decennio, inaugurato con il peggiore dei sipari: nel 1990 Umberto viene freddato, e con lui tutto il mondo appartenente ad Armida. Viene nominata direttore del supercarcere di Pianosa: ora tutta la sua arida fragilità può farsi travolgere dall’altra faccia, quella granitica della professionista inflessibile, rispettata su tutta l’isola. Balugina il sogno intrepido di un nuovo amore, ma Umberto è già vissuto, ed è anche stato ucciso, e le persone non si replicano; Maurizio, conosciuto a Pianosa, è un ricordo slavato e fallace del volto di Umberto. Il nuovo, ultimo trasferimento di Armida è al carcere di Sulmona: lì avviene il crollo definitivo, l’ultima agonia della sua anima dinanzi alla stanchezza di sopravviversi, perché mentre è in servizio a Sulmona, Armida decide di salutare il mondo. È una storia intensa per affetto, pressata dalla realtà storica ancora scottante dell’ultimo scorcio del Novecento italiano, attuale per lo spaccato delle carceri che il film restituisce, per le facce dei detenuti criminali e dei detenuti per disgrazia e disperazione. La stessa Golino ha raccontato di aver vissuto i tempi di ripresa tra una spensieratezza venata di malinconia e la tensione per il ruolo di Armida, una figura che l’ha commossa per l’austerità fragilizzata, che le ha lasciato tracce; lo stesso Puccioni precisa che il film non è solo indagine sulle carceri, ma il focus doveroso sull’umanità della galera e sulle emozioni di Armida Miserere, “una donna capace di parlare anche a chi non conosce molto della cronaca giudiziaria italiana”, attraverso uno stile semplice e asciutto calamitato sul personaggio. In rete è possibile visualizzare le scene dell’ultimo ciak, battuto tra il carcere di Montacuto di Ancona e la meravigliosa Gola del Furlo di Fermignano; lì il vento è impetuoso e racconta l’inesprimibile, anche dopo la battuta conclusiva e la distensione degli interpreti.