Questo matrimonio non s’ha da fare oppure si?

Da diversi anni in Italia si discute sulla possibilità di regolare il fenomeno delle coppie di fatto (eterosessuali e omosessuali), ossia quelle unioni tra due persone non omologate all’istituto giuridico tradizionale del matrimonio. Nel mondo e anche in Italia con l’evolversi della società, che ha portato alla conquista di diritti di stampo civile e laico quali il divorzio e l’aborto, dagli anni ‘90 in poi si è avvertita l’esigenza di affrontare e tutelare giuridicamente tale tema. Non può essere sottaciuto che gli altri Stati, specialmente quelli del nord Europa nonché gli USA,  hanno mostrato sin da subito una sensibilità nei confronti di questo fenomeno, tant’è vero che in Inghilterra, Norvegia, Danimarca, Svezia, Islanda si è proceduti in maniera spedita a regolare le unioni tra omosessuali e, addirittura, in alcuni di questi Paesi le legislazioni correnti prevedono la possibilità per tali coppie di adottare dei figli. E invece nel Bel Paese?
In Italia ogni tematica, purtroppo, è oggetto di mesi e mesi, se non di anni, di discussioni politiche. I politici si azzuffano, si ricattano e si strumentalizzano per poi arrivare alla solita conclusione che non è, come si suol dire, “né carne né pesce”. Dopo decenni di dibattito nel 2006 in Parlamento approdò un disegno di legge ,sulla falsariga dei PACS francesi (PAtto Civile di Solidarietà) e che fu insabbiato dalla Camera dei Deputati, il quale prevedeva un contratto tra due persone maggiorenni di sesso uguale o diverso che regolasse la loro vita in comune: rapporto di locazione, misure fiscali, aiuto materiale reciproco, responsabilità comune per i  debiti contratti dalla firma del PACS, assistenza e decisioni relative alla salute e alla vita del partner, diritti di successione e altro. Successivamente, visto l’insuccesso del ddl Grillini (deputato firmatario del disegno sui PACS), ne fu presentato un altro recante la sigla DICO (DIritti e doveri delle persone stabilmente COnviventi) fortemente voluto dai Radicali, da sempre in prima linea per i diritti civili come nel caso dell’aborto e del divorzio. Il testo prevedeva l’istituzione di un registro anagrafico presso ogni comune nel quale avrebbero dovuto iscriversi tutte le coppie (maggiorenni sia eterosessuali che omosessuali) intenzionate ad essere soggette al riconoscimento giuridico. Le novità più rilevanti riguardavano: la possibilità di disegnare il convivente quale rappresentante che, nei limiti delle norme vigenti, avrebbe preso decisioni sia in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere che nel caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità del trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie, nonchè la successione del convivente nel contratto di locazione, qualora la convivenza duri almeno da tre anni ovvero vi siano figli comuni, e i diritti di successione. Infatti al convivente con nove anni di convivenza, fatti salvi i diritti dei legittimari, sarebbero spettati i diritti di abitazione nella casa adibita a residenza della convivenza. In caso di testamento, fatti salvi i diritti dei riservatari, il convivente avrebbe potuto disporre liberamente, mentre nel caso di assenza di testamento, il convivente avrebbe potuto sì godere di diritti ereditari ma non del tutto parificati a quelli del coniuge del matrimonio. Tuttavia anche questo ddl ha condiviso la stessa sorte di quello precedente così come, in tempi più recenti, il ddl dell’ex Ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, sui DiDoRe ( DIritti e DOveri di REciprocità dei conviventi) non ha trovato terreno fertile nella XVI legislatura.
Insomma, mentre negli altri Paesi civili si sono superate con facilità le varie resistenze, in Italia, invece, si continua a mostrare chiusura all’esigenza di chi non vuole omologarsi al matrimonio tradizionale. Non si può negare, però, che fulcro della politica italiana, fino alla metà anni ’90, erano i governi di matrice democristiana, quindi di forte orientamento conservatore. Una giustificazione al diniego di tali diritti può apparire, allora, fondata (se il popolo vota un partito conservatore vuol dire che avalla politiche conservatrici). Al pari, una mancata regolamentazione di questo fenomeno non può trovare alcuna scusante se si tiene conto dei vari governi di stampo liberale che hanno sorretto la “seconda repubblica”. Ancora una volta, purtroppo, bisogna prendere atto che la politica italiana sta dimostrando quanto sia distante dalle richieste di una società civile sempre più complessa e dinamica.

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