La tessera fascista “Honoris Causa” ad Alberto Beneduce

Alberto Beneduce,  il casertano che salvò l’Italia fascista dalla grande crisi del primo dopoguerra, è stato spesso rivendicato da una cultura social comunista e considerato una eccezione tra coloro che avevano indossato la camicia nera. Un’appropriazione indebita, perché a distanza di parecchi lustri  i documenti e la storia stanno mettendo sotto il giusto profilo uno dei più grandi personaggi dell’economia Italiana.
Alberto Beneduce, di fede socialista, sposò in  pieno il regime fascista che lo ricompensò ampiamente per i servigi resi alla nazione. Questo non toglie  nulla alla grandezza dell’uomo ma fa giustizia di quanto sostenuto,  in tempi di antifascismo imperante, delle false interpretazioni e del pressapochismo con cui alcuni hanno creduto di analizzare  il pensiero dell’uomo.
Pochi hanno detto, in buona o cattiva fede,  quella che l’evidenza  dimostrava: Alberto Beneduce da buon economista  sapeva bene quando era importante appartenere alle lobby che lo avevano sostenuto ed a queste rendere conto del suo operato, compreso l’asservimento al fascismo.
Il personaggio non spese una parola nei confronti del regime quando fu soppressa la sua provincia quella di Terra di Lavoro, né tanto meno fu riconoscente all’illustre sindaco casertano Vincenzo Cappiello che nelle elezioni del 1919, pure di facilitare la sua elezione, decise di  non candidarsi.
Spulciando nelle pagine del tempo, alla ricerca di un avvenimento o di un commento spesso ci si imbatte in dettagli che servono a ribaltare o a convalidare idee e supposizioni. Così mi è successo di leggere  poche righe pubblicate da l’Unità da cui si evince che per i servigi di Beneduce resi al regime, nonostante il suo passato, gli sarebbe stato consegnata la tessera di iscrizione al Partito Nazionale Fascista “honoris causa”. In realtà ben poca cosa per  quello che stava realizzando e per i rapporti che stava avendo con gli americani per la concessione di un prestito all’Italia di 100 milioni di dollari che avrebbe fatto uscire il paese dalla crisi ed evitare ulteriori svalutazioni della lira.
Come andò a finire la proposta?  Un giorno si saprà  anche perché non risulta da nessun studio che Beneduce abbia rifiutato la tessera del partito di Benito Mussolini .
Il giornale di Gramsci, nato solo l’anno precedente  il 17 Dicembre del 1925, con un certa ironia così scriveva: Tessera fascista ad “honorem” al riformista. L’informatore della Stampa Pubblica: “Si assicura che prossimamente per le benemerenze acquistatesi nelle recenti trattative italo americane per la concessione dei prestiti per l’incremento delle opere pubbliche in Italia del cui consorzio egli è presidente, sarebbe concessa la tessera fascista “ad honorem” all’ex ministro del lavoro on. Alberto Beneduce.”
A chiamare Beneduce  nella difficile trattativa con le banche americane fu il ministro dell’economia Giuseppe Volpi conte di  Misurata, massone anch’egli. La sua nomina  fu  frutto dell’alleanza fra il regime e il capitalismo italiano. Volpi, che ne era un esponente di spicco delle industrie e conosciuto all’estero, da ministro  rassicurò il mercato tanto che dal 15 luglio in poi il panico rientrò e le quotazioni del debito pubblico migliorarono rapidamente. Il  cambio, che a luglio si era collocato su una inedia di 132,82 con la sterlina e di 27,43 col dollaro, in alcuni giorni aveva superato di molto questi valori, scese a settembre a 119,45 e a 24,653.
Si trattò di un autunno caldissimo dove si prospettò un Italia sull’orlo della bancarotta, anche se il peggio doveva ancora arrivare con la crisi del 1929.
Sta di Fatto che, grazie a Beneduce e Volpi, lo Stato riuscì ad avere da un pool di banche americane capeggiata dalla Morgan  il sostegno necessario.
Dopo lunghe trattative, venne  stipulato l’accordo di Washington del 14 novembre 1925. “La stipula permetteva la compensazione di fatto, seppure in modo informale per l'ostilità degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, alla compensazione di riparazioni e debiti, consentendo a Mussolini di raggiungere uno degli obiettivi più ardui della sua politica estera'''. (Manero)
 
 

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