SuicideGirls: un no “alternativo” alla donna oggetto

L’8 marzo vede accendersi ogni anno una polemica attorno al concetto di donna-oggetto, alla sua riproduzione stereotipata e fortemente legata a temi sessuali; un’immagine veicolata dai mass media cui abbiamo finito per abituarci. Tuttavia, bisogna tener conto di una variabile, quella della “scelta” di molte donne di volersi rappresentare in un certo modo. Da questo punto di vista, le SuicideGirls introducono una riforma dei canoni di bellezza e del modo in cui una donna mostra la propria carica erotica, a metà tra le quasi caste pin-up degli anni Cinquanta e la trasgressione di un corpo ricoperto da tatuaggi e piercing, più vicino al ventunesimo secolo.
Il progetto SuicideGirls nasce nel 2001 a Portland, in Oregon, da Sean Suhl e Selena Mooney, che decidono di inaugurare un sito che propone fotografie softcore (nudi altamente erotici, che si rifanno ad una “pornografia morbida”, quindi non volgare), il cui concept innovativo sta nel voler mostrare una bellezza e una sessualità non convenzionali, rappresentate perlopiù da ragazze in stile dark, punk e indie, le quali sono libere di proporsi per entrare a far parte di questa comunità virtuale, in cui non si limitano ad apparire fotografate ma curano dei blog e delle discussioni su forum, riguardo argomenti di ogni genere. Inoltre, sono le ragazze stesse a scegliere i set e i criteri degli scatti di cui si rendono protagoniste, avendo una completa libertà di espressione della propria sessualità e personalità. Il fine è, quindi, quello di riscattare il mondo femminile da uno stereotipo che è stato affibbiato alle donne e di creare una percezione differente del concetto standardizzato di bellezza; sembra avere senso come strategia, dal momento che il 43% degli iscritti al sito (a pagamento annuale) appartengono al gentil sesso!
Il nome, che inizialmente potrebbe trarre in inganno chiunque, è stata una scelta poco ponderata da parte di persone che non si aspettavano di avere tanto successo e non ha nulla a che fare con il suicidio, bensì è tratto da un romanzo di Chuck Palahniuk, Survivor, e sta ad indicare quella categoria di ragazze che non possono essere inquadrate in base ad una corrente di pensiero o secondo la musica che ascoltano. Perché si, se Suhl e Mooney avessero immaginato la diffusione di questo fenomeno, avrebbero pensato un po’ più a lungo al nome. In effetti, nel nostro Paese le SuicideGirls non sono note quanto negli Stati Uniti, dove sono considerate al pari delle rockstar, tant’è vero che se ne parla nella rivista Rolling Stones, hanno instaurato una partnership con Playboy e sono stati loro dedicati degli special sui maggiori canali televisivi americani. Ma in alcuni ambiti restano conosciute anche in Italia; appaiono, infatti, in alcuni videoclip musicali di artisti come J-Ax, Club Dogo, Bassi Maestro e Corveleno. Seppure esista più di una SuicideGirl di nazionalità italiana, il fenomeno sembra avere una scarsa diffusione nel nostro Paese, dove però in fatto di pornografia tradizionale deteniamo ben due primati per numero di visite al sito youporn, nella città di Milano (numero uno al mondo) e Roma (“solo” secondo posto), come rileva una ricerca pubblicata dal sito stesso nel 2012.

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