Un ragazzo ucciso a Napoli. La prepotenza del Giudicare
Da qualche giorno sul web e nelle piazze dei talk show si discute di Davide Bifolco, ucciso il 5 settembre da un Carabiniere. Molti giornali hanno liquidato la vicenda segnalando semplicemente che il ragazzo era in motorino e di fronte a uno “stop” non si è fermato. Il Carabiniere ha così sparato a Davide che è morto a causa di un colpo sul petto. Questo è successo a Traiano, quartiere di Napoli. Sono stati fatti cortei, manifestazioni, indagini e immediatamente le opinioni si sono divise fra battaglie morali ed etiche. C’è chi ha urlato immediatamente “assassino” allo stato, chi invece si è schierato a prescindere dalla parte delle forze dell’ordine. Non sono chiaramente bastate le scuse del Carabiniere, che ha, senza alcun dubbio, tolto la vita a un innocente di nemmeno diciassette anni. Inizialmente si era parlato di “colpo accidentale”, motivazione che non ha convinto nessuno, nemmeno lo stesso corpo dei carabinieri. E se da una parte si cerca di capire come possa essere successo, dall’altra si cerca di razionalizzare sull’uso delle armi e su come chi ne è in possesso viene abilitato per farne uso. La versione delle forze dell’ordine è analitica e netta: erano le due di notte e la pattuglia era stata avvertita che un certo Arturo Equabile, ricercato e latitante dagli arresti domiciliari, stava scappando su uno scooter Honda SH insieme ad altre due persone. Nonostante l’inseguimento e l’invito a fermarsi da parte dei Carabinieri, i ragazzi hanno continuato a scappare, urtando contro un aiuola e cadendo. Il Carabiniere, inciampando, ha fatto partire un colpo sparando a Davide. La versione della famiglia e del legale è leggermente diversa. In quel motorino non ci sarebbe stato nessun latitante, ma un altro ragazzo Enzo Ambrosino, che non ha ancora verbalizzato agli inquirenti la sua testimonianza. I ragazzi non sarebbero caduti, ma sarebbero stati urtati appositamente dall’auto di ordinanza e non si sarebbero fermati solo perché non avevano il patentino. Le indagini sono ancora in corso. E le opinioni sono ancora divise.
La questione va trattata con estrema cautela. Un ragazzo che viene ucciso per non essersi fermato a uno stop non può essere additato come un “delinquente in meno sulle strade già difficili di Napoli”. Allo stesso tempo un pensiero va fatto sul Carabiniere. Il colpo è partito davvero in modo accidentale? O si è fatto prendere dal panico e dalla paura? In entrambi i casi a pagarne le spese non può essere l’intero organo dei Carabinieri. Le variabili in questa vicenda sarebbero potute essere infinite. Cosa sarebbe successo se i ragazzi avessero investito qualcuno a causa della velocità con cui andavano? O se avessero loro stessi fatto del male a qualcuno? In merito a questo, bisognerebbe pensare alla poco discussa vicenda dell’appuntato Tiziano della Ratta, che non aveva estratto l’arma ed è stato miseramente ucciso nell’aprile del 2013 a Maddaloni proprio da un ragazzino di 18 anni (appena un anno in più di Davide). Contemporaneamente non è ammissibile che un Carabinieri inciampi e spari a un ragazzino. La forzatura di un posto di blocco integra la fattispecie dell’articolo 337 c.p. (resistenza a pubblico ufficiale), ma la pena è una multa. Non la morte. Le norme e le direttive per l’accesso alla divisa e al conseguente uso delle armi devono essere modificate. Vanno imposti controlli psicologici e di preparazione fisica.
La morte di Davide Bifolco è un evento che non si può giudicare con leggerezza. Che non può diventare, da nessuna delle due ragioni, un pretesto di ulteriore odio e di stereotipi. Non tutti i ragazzini a Napoli, se non si fermano, sono delinquenti e non tutti i Carabinieri sono “boia” dello stato. Ma in Italia come sempre vige una sola regola : la prepotenza del Giudicare.