“Terra degli uomini”, Saint-Exupéry e la sua vita da pilota

Un tracciato aereo lungo quanto una vita, il miraggio mentre si sta per essere ingoiati dalle sabbie riarse del Sahara, tanto intenso quanto fragoroso è il pulsare dei motori del velivolo: “Terra degli uomini”, romanzo del 1939 di Antoine de Saint-Exupéry, va oltre un angusto accomodamento nel genere del diario di viaggio, o dell’autobiografia, o ancora del romanzo d’avventura liberamente ispirato. È una scrittura partorita dallo sfioramento della morte, dopo un raid nella Terra del Fuoco, durante il quale Saint-Exupéry restò solamente ferito, anche se in maniera grave. La convalescenza lo costrinse a letto, e da quegli anni di inattività aerea nacque “Terra degli uomini”, nelle cui pagine, agili e pregne di appassionata impronta, l’autore si pone in rapporto con la “terra” del titolo come se questa fosse solo una parentesi di scalo, un punto di sosta dal quale decollare in tempi brevi, per raggiungere nuove destinazioni, solcando i cieli al cospetto del sole o delle stelle. La conoscenza di uomini e di popoli variegati, il sentimento di vocazione al volo che stempera giorni di sacrificio in una più ampia realizzazione mentale e dello spirito, il recupero di memorie ancora vibranti, tutto crea uno spaccato dal sapore epico contemporaneo, che tuttavia  non sfuma in un malcelato elogio dell’impresa e nulla più. In questa scrittura sopravvivono tutto l’amore per il mestiere di pilota ed una costante descrizione di ambientazioni, coordinate di volo, riflessioni ed appunti tecnici sulla natura del volo, sempre legati a risvolti intimistici: Saint-Exupéry combina con maestria lo studio delle carte di volo, i prospetti di viaggio e la ricognizione geografica dall’alto con il profilo emotivo che forgia il suo essere uomo di missione. Sfilano, in questa sequenza di piccole imprese che non intendono autocelebrarsi – almeno non individualmente – immagini di vite incrociate e poi lasciate turbinare lontano da sé: le linee transcontinentali in Argentina e in Paraguay, gli sguardi malinconici del vecchio schiavo Bark, che riesce a farsi caricare dallo scrittore sull’aereo per Marrakech, dove era custodito tutto il ricordo della propria giovinezza, fino agli ultimi capitoli immolati alla drammatica esperienza del deserto. Trovarsi al centro del Sahara con un aereo che, dopo una serie di errori di pilotaggio, ha spanciato e rischia di incendiarsi, conoscere il limite della lucidità umana e della tolleranza alla sete, il timore di una morte da dividere in due, assieme al meccanico-navigatore Prévot, ritrovandosi a bere acqua filtrata da teli e raccolta in un serbatoio, che provoca vomito e nausea perché mista al tetracloruro di carbonio depositato sul fondo di quel serbatoio; i miraggi, i laghi d’acqua che attraggono solo in forma visionaria, la morte che rinviò i cerimoniali. Saint-Exupéry sapeva che sarebbe avvenuto pilotando uno dei suoi velivoli, sfrecciando su terre dove sarebbe atterrato soltanto per poco, per ritornare presto ad avere coscienza di se stesso tra gli spazi aerei senza confine, che non fosse quello dell’abbattimento. Ed avvenne, nel 1944, quando precipitò nelle acque del Mar Tirreno, silurato da un caccia tedesco. Ma questo arrivò dopo avere a lungo osservato ed interiorizzato, con quel silenzio che nella mente di un pilota non è nemico, ma estensione di pensiero e di vita.

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