Danza d’autunno

Continua  al Teatro San Carlo fino alla fine del mese il Festival di danza con il suo ultimo  spettacolo in programmazione Eduardo, Artefice Magico – eccezionale produzione autoctona con la prima al Teatro San Ferdinando – maggio 2014, che andrà a coronare una serie di rappresentazioni che hanno trasformato la manifestazione partenopea nel più importante evento tersicoreo autunnale: Gala della Scuola di Ballo, Le 8 Stagioni, Anna Karenina. Prosegue invece anche a novembre l’attualità di danza in Campania con la rivisitazione, al Teatro Gesualdo di Avellino, dello spettacolo Zeitung che Anne Teresa De Keersmaeker e il pianista Alain Franco crearono nel 2008 per i danzatori di Rosas:  “combinazione instabile di musica e danza, coreografia e improvvisazione, romanticismo e disillusione”, coreografata su musiche di Bach, Schönberg e Webern.
   Tornando a Napoli, le Stagioni del titolo sono 8 perché appartenenti in parti uguali ai due grandi compositori esponenti di due stili talmente diversi: il barocco veneziano di 300 anni fa e il tango argentino rinnovato da Astor Piazzola mezzo secolo fa. Infatti alle 4 ispiratrici firmate Antonio Vivaldi, si aggiungono quelle tanghere di Piazzola (“porteñe” per l’appunto) in una successione che spazia, in parallelo, dalla Primavera (Porteña) all’Inverno, altrettanto Porteño nell’intento di seguire la sia metamorfosi della natura che i mutamenti  umani. E a questo concetto  è assoggettata anche la scenografia di Carlos Gallardo, quasi tutta virtuale (proiezioni gigantesche sul fondale) se non fosse per i proiettori a vista su un lato del palcoscenico…
   Se nel primo caso le coreografie di Mauricio Wainrot non hanno riservato sorprese alla folta platea inquanto inquadrate in modo quasi figurativo nei ritmi e nella tessitura melodica vivaldiana, appena passati al tango si riempiano dell’eccletticità di un genere che paradossalmente dovrebbe rappresentare l’esplosione della passione. Infatti qui il tango, solitamente ballato in coppia, si allarga al gruppo di ballerini maschi e successivamente alle danzatrici che seguono movimenti individuali guidati dalla tempistica binaria del ritmo. Pochi i casi quando ci si organizza in tenere coppiette e ancora più scarsi quelli quando  i due seguono  insieme la basilare ma difficile camminata tanghera. Per non parlare della quasi assenza delle molinete con abbracci stretti permettendo l’esecuzione degli arraballero – movimenti rapidi e corti, tipici dello “tango show”. Insomma una milonga, quella di Wainrot, pensata sostanzialmente per i ballerini classici, come  il sempre bravo Corpo di ballo del San Carlo e i suoi solisti Anna Chiara Amirante, Roberta De Intinis, Luisa Ieluzzi, in coppia con Edmondo Tucci, Alessandro Staiano, Ertrugel Gjoni, Stanislao Capissi e Salvatore Manzo – cioè gli allievi del nuovo  maître de ballet Lienz Chang. Quindi lontana dal tango argentino e tanto più dal caricaturale british tango, tuttora tanto diffuso.
  La dedica alla grande eroina della letteratura russa, Anna Karenina, protagonista dell’omonimo romanzo di Lev Tolstoj che abbiamo seguito sabato scorso alla prima del clou di questo festival di danza partenopeo, rappresenta anche la massima espressione dell’anti-accademismo di Boris Eifman (Artista del popolo nella Russia, ma coreografo tanto spregiato durante il periodo  sovietico, inquanto considerato di decadente ispirazione occidentale…). Anche perché, rispetto ai suoi illustri predecessori, Eifman costruisce il balletto non attorno a uno spartito, anche se di un compositore russo,  ma,  per personali esigenze coreografiche, fa una rigorosa selezione dei brani appartenenti a quasi intero suo repertorio – sia sinfonico che operistico, ma soprattutto di balletto – dello stesso  Pëtr Il'ič Čajkovskij.  Anna Karenina quindi  rappresenta la quintessenza dell’unione musica-coreografia nella visione di uno dei più grandi coreografi contemporanei in uno spettacolo che dal 2005 ha fatto il giro del mondo raccogliendo applausi e unanimi riconoscimenti. Basato sulla storia del triangolo amoroso: marito(Karenin – Oleg Markov) – moglie (Anna-Anastasija Sitnikova) – amante (Vronskij -Sergej Volobuev), da Tolstoj il balletto coglie piuttosto la psicologia della degenerazione di un sentimento a favore di un altro, con conseguenze che solo l’attualità di cronaca nera ci fa capire, giorno dopo giorno, quanto siano atroci. Impresa tanto più difficile quanto Eifman e la sua valorosa troupe di San Pietroburgo hanno a disposizione soltanto il linguaggio dei movimenti rinforzato appunto con la suggestiva colonna sonora magnificamente cucita su misura. Ed è piuttosto qui,  sul dirottamento quasi patologico dell’amore di Anna dalla sua famiglia verso il possessivo conte Vronskij,  che si spalma l’osservazione di Friedrich Nietzsche: “Bisogna avere il caos dentro per generare una stella che danza…”. Considerazione quanto più azzeccata per Anna e la sua sensazionale interprete Anastasija Sitnikova !
 

Condividi questo articolo qui:
Stampa questo post Stampa questo post