Antonella Ricciardi intervista l’ergastolano Carmelo Musumeci

Una testimonianza che fa riflettere, un concentrato di interrogativi e possibili risposte, sul senso di una pena che nega la speranza e che pone differenze tra detenuti e detenuti, pur condannati, teoricamente, allo stesso tipo di reclusione: su queste tematiche spazia il dialogo con Carmelo Musumeci, detenuto (attualmente nel carcere di Padova) attivo nel sociale e nella cultura, che analizza la realtà dell'ergastolo ostativo. Dovuta ad una legge del 1992, questa versione molto peggiorativa dell'ergastolo "ordinario", prevede, a differenza di quest'ultimo, l'impossibilità di accedere ai benefici potenziali cui un prigioniero può avere diritto, in determinati casi, dopo un certo periodo di reclusione: niente permessi premio, nè semilibertà, niente libertà vigilata, e nemmeno affidamento in prova ai servizi sociali… Si tratta di un trattamento riservato a detenuti per mafia, che si rifiutino di avere il ruolo di pentiti giudiziari: una forma di delazione, secondo il parere di molti. Carmelo Musumeci, in carcere dal 1991,  ha trascorso diversi periodi anche in regime duro,  di 41 bis; Musumeci era a capo di una banda che gestiva traffici illeciti in Versilia, con un passato drammatico e difficile, che lo aveva visto anche in riformatorio; la famiglia, molto povera, gli aveva potuto garantire gli studi solo fino alla seconda elementare. Durante la prigionia, però, Carmelo Musumeci ha aperto la mente agli studi, arrivando a diplomarsi ed a laurearsi in Giurisprudenza, con una tesi proprio sull'ergastolo ostativo e la sua possibile incostituzionalità; inoltre, è divenuto un apprezzato autore di libri, favole, poesie. Le sue parole sono quindi intrise di logorante sofferenza, ma anche di dignità e di speranza, nonostante tutto, che qualcosa potrà cambiare: l'idea che un essere umano mai debba abbandonare la speranza, e che debba essere sempre data una seconda possibilità, anche a chi in passato abbia sbagliato,  sono alcuni dei messaggi primari che emergono  in questa importante storia di vita, che è anche la storia di un riscatto umano positivo già avvenuto…

Ricciardi:  "In Italia spesso è diffuso il luogo comune che l'ergastolo, di fatto, non esista più, in quanto, prima o poi, anche chi lo abbia avuto comminato, potrà uscire… Esiste, invece, la realtà dell'ergastolo ostativo, cioè di continui ostacoli posti alla possibilità potenziale di una liberazione: può spiegare quale sia la dinamica per cui si realizzi questa situazione? In particolare, le chiedo se ci siano reati  e situazioni particolari, rispetto ad altri, in cui venga attuata questa misura così drastica… "
Musumeci: "In Italia esistono due tipi di ergastolo. Uno “normale” (che poi tanto normale non lo è) che ti dà una possibilità, ma non certo la certezza, un giorno di poter uscire. Poi c’è l’ergastolo ostativo che ti impedisce di usufruire di qualsiasi beneficio se non diventi un collaboratore di giustizia o, meglio, se nella tua cella non ci metti un altro al posto tuo. Vieni condannato all’ergastolo ostativo nell’ambito della criminalità organizzata (di tipo mafioso). La morte per questo tipo di ergastolani risulta essere l’unica via di salvezza possibile. Ed io chiamo questo tipo di condanna “Pena di Morte Viva” perché non si è né morti né vivi. Papa Francesco invece la chiama “Pena di Morte Nascosta”.
Ricciardi: "Può descrivere quali siano gli aspetti più intensamente angosciosi della vita in una simile situazione?  Una situazione, appunto, che offusca la possibilità di un reinserimento, nonostante ci si possa essere evoluti e si possa essere maturati, in tanti anni di prigionia…"

Musumeci: "L’ergastolo è una pena di morte a gocce. È sbagliato dire che assomiglia alla pena di morte perché è molto peggio dato che la pena di morte si sconta da morto, mentre la pena dell’ergastolo si sconta da vivo. E quando si è mezzi vivi il dolore si sente di più che da morti. Il tempo per un ergastolano non scade mai. Siamo morti senza saperlo. Non vogliono che moriamo subito. Vogliono che crepiamo lentamente. A poco a poco. Piano piano. Vogliono che soffriamo più a lungo possibile, così impariamo la prossima volta a non fare del male. Il problema è che non avremo una seconda opportunità. Ricordo che quando stavo scontando il periodo d’isolamento diurno previsto dalla pena dell’ergastolo, durato un anno e sei mesi, ed ero detenuto nell’isola dell’Asinara, la cosiddetta “Isola del Diavolo”, speravo che all’improvviso la porta si aprisse, ma non accadeva mai. Nelle celle di isolamento si sente di più la solitudine. In quel periodo desideravo più di qualsiasi altra cosa una voce umana.  Ricordo che quando calava il buio ed i gatti uscivano dal loro ripostiglio per andare a caccia di topi io stavo con il viso incollato alle sbarre della finestra a guardarli. E tifavo per i topi. Speravo che i gatti non riuscissero a prenderli, perché sono sempre stato dalla parte dei più deboli."
Ricciardi: " Oltre alla battaglia contro l'ergastolo ostativo, quali sono le possibilità che, a suo parere, potrebbero essere fruttuose ed auspicabili per migliorare la vita dei detenuti prima di una eventuale liberazione?"
Musumeci: "Una speranza reale. La certezza un giorno di poter uscire. Penso che l’abolizione della pena dell’ergastolo potrebbe sconfiggere la cultura mafiosa perché un fine pena potrebbe convincere di più i mafiosi, specialmente i giovani ergastolani, a uscire dalle loro organizzazioni, perché è difficile cambiare sapendo che la tua cella diventerà la tua tomba. La condanna a essere cattivi e colpevoli per sempre è una pena stupida perché non c’è persona che rimanga la stessa nel tempo. Senza un fine pena certo all’ergastolano  rimane solo la vita ma la vita senza futuro è meno di niente."
Ricciardi: "Lei è autore di libri, in cercare si è diplomato e laureato (in Legge), ha partecipato ad attività culturali di spessore di svariata natura; tenendo conto di tutto ciò, le chiedo, in sintesi, in che modo è cambiata la sua visione del mondo  da prima della sua prigionia, a dopo, durante questo così lungo percorso? E quali sono i messaggi più importanti che desidera diffondere con i sui scritti?

Musumeci: "Scrivo libri perché anni fa ho letto che sul muro di un lager nazista venne scoperta la scritta “Io sono qui e nessuno lo saprà mai”.
Io invece voglio che si sappia cosa accade dentro le mura delle nostre “Patrie Galere”. E anche per fare sapere che nonostante il male che abbiamo commesso anche noi siamo degli esseri umani con un cuore e con dei sentimenti."

Introduzione e quesiti di Antonella Ricciardi; dicembre 2015

 

 

 

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