Previsione o prevenzione dei terremoti?

La terra ha tremato ancora. Lunghi agghiaccianti secondi nei quali alcuni perdono la vita o restano feriti nel corpo o perdono tutto. Oggi parliamo di Amatrice e Accumoli (in provincia di Rieti), Arquata del Tronto e Pescara del Tronto (in provincia di Ascoli Piceno) ma solo pochi anni fa avremmo parlato di Carpi in Emilia Romagna e prima ancora, solo nel 2009, della città dell'Aquila.
In poco più di sei anni, senza parlare del problema del dissesto idrogeologico, delle frane e di altro, almeno tre eventi sismici disastrosi hanno martoriato la nostra Nazione.  
Al momento non è possibile prevedere i terremoti, ma è altrettanto evidente che sembra che si stenti a imparare dall'esperienza e appare come se si preferisse gestire l'emergenza piuttosto che prevenirla.
Le norme tecniche per le costruzioni, difatti, si sono evolute nel tempo onde recepire il dato statistico di un territorio nazionale praticamente quasi del tutto a rischio terremoto.
Ma queste norme, che certamente sono applicate alla virgola nelle nuove costruzioni (a meno di non incorrere in casi di mala edilizia per cui non si può che, a posteriori, perseguire i responsabili) ovviamente trovano una maggiore difficoltà di applicazione nel tessuto edilizio italiano che in svariati casi ha valenza certamente storica ed architettonica ma in altri casi, nonostante la vetustà, certamente no. A tal riguardo, ogni confronto con la realtà di altri Paesi (che si sono sentiti in questi giorni) appare ridicolo.
Difatti se è vero, come è vero, che nel Paese del "Sol levante" terremoti come quello di tre giorni fa accadono con frequenze molto più elevate senza produrre danni sensibili, è anche vero che il tessuto del costruito tradizionale giapponese è costituito da piccoli edifici realizzati soprattutto in legno e che, per gli edifici più recenti, non ci si fa molto scrupolo di abbattere fabbricati fatiscenti per fare posto ad altri fabbricati progettati e costruiti secondo le più moderne evidenze antisismiche.
In Italia, invece, sembra non esserci distinzione tra ciò che è antico da quello che é semplicemente vecchio.
La questione, quindi, si sposta inevitabilmente sui criteri di individuazione di fabbricati e quartieri che hanno ragion di esistere anche se oramai vetusti, anche se non capaci di assicurare almeno la prestazione del non crollo in caso di sisma e quelli che, viceversa, non hanno tale dignità artistica, storica o architettonica essendo solo semplicemente non più adeguati se non addirittura fatiscenti.
Sembra allora ovvio, e per molte altre Nazioni lo è, che solo per il primo gruppo di edifici vale la pena di porre in essere quegli interventi di miglioramento sismico, spesso molto costosi, che consentirà almeno la salvaguardia delle vite umane mentre gli altri edifici, considerato anche altre questioni come l'efficienza energetica, forse sarebbe più conveniente inquadrarli in un serio piano di demolizione e ricostruzione.
Insomma, non si capisce perché mentre una portaerei o una industria ha una vita tecnica operativa i normali fabbricati sono da considerarsi eterni.
Si tratta, nella buona sostanza, di recuperare l'idea del "fascicolo del fabbricato", documento importantissimo che ben potrebbe fotografare sia la situazione attuale del costruito, sia individuare una possibile vita utile dell'opera sin dalla fare di progetto di fattibilità.
Nella buona sostanza atteso che ogni sforzo di previsione è ad oggi scientificamente impossibile, l'auspicio è che si adotti un serio programma di prevenzione.

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