Ideonella sakaiensis 201-F6
Dopo la scoperta in Ecuador, del fungo Pestalotiopsis microspora, della famiglia degli ascalomiceti, che in assenza di ossigeno è in grado di degradare quella plastica ritenuta non riciclabile. Com’è noto da anni, infatti, galleggia tra l’oceano Pacifico e l’Indiano un’isola di detriti (per lo più plastici),delle dimensioni della penisola iberica, che si chiama garbage patch, dovuta all’accumulo a partire dagli anni ’50 dei rifiuti plastici abbandonati nel mare, che si aggregano a formare un enorme “vortice” di spazzatura che galleggia sulla superficie oceanica; questa plastica, pur non essendo biodegradabile, sotto l’influenza di raggi UV, si frammenta in microparticelle particolarmente tossiche per gli organismi marini. Dal giorno della scoperta ad oggi i ricercatori di Yale sono riusciti a sintetizzare l’enzima degradante, comprendendone a pieno il meccanismo ed ora stanno provando a modificarlo affinché funzioni anche in presenza di ossigeno così da utilizzarlo per avviare il processo di conversione di questa gigantesca isola di immondizia che mette ancora più a rischio i nostri mari già tormentati. Di recente è stato scoperta, dopo il fungo , un batterio mangia plastica. Il batterio in questione si chiama Ideonella sakaiensis 201-F6. E’ stato identificato da un team di ricercatori giapponesi del Kyoto Institute of Technology. La sua particolarità è di essere in grado di spezzare i legami molecolari del PET (polietilene tereftalato), materiale con cui sono realizzati molti contenitori largamente diffusi, come le bottiglie per l’acqua, per poi trasformarlo in MHET e, grazie ad un’enzima aggiuntivo, ritrasformarlo in PET. Si tratta di una sorta di adattamento naturale frutto di un meccanismo evolutivo che ha indotto questo tipo di batteri a nutrirsi di un materiale purtroppo molto diffuso ormai in natura, soprattutto in acque marine e oceaniche. Potrebbe infatti aprire nuove prospettive per ovviare all’accumulo di plastica che nelle acque dell’Oceano Pacifico ha addirittura formato una maxi isola, detta Pacific Trash Vortex. Tuttavia, un punto debole di questo batterio è legato al tempo. Sarebbero infatti necessarie circa sei settimane ad una temperatura costante di 30°C per riuscire a degradare una sottile pellicola di PET.
La scoperta di questo batterio e delle sue potenzialità applicative è solo agli inizi. Ma occorre comunque pensare a questo come una soluzione d’emergenza attivandosi per contrastare lo spreco e la dispersione di rifiuti, come quelli in plastica, nel nostro ambiente naturale. Per tale motivo è necessario non solo incentivare i metodi di raccolta differenziata e riciclo ma anche la riduzione dei rifiuti. A partire dal packaging e dagli imballaggi, spesso del tutto superflui, che rivestono le merci che acquistiamo.