La scuola italiana continua a scendere la china della qualità

Nel 2018 dovrebbe debuttare il nuovo modello dell'esame di maturità. Esso prevede che l'ammissione non sia più vincolata al raggiungimento di almeno la sufficienza in tutte le materie ma, incredibilmente, considerando il raggiungimento della sufficienza come media aritmetica dei voti conseguiti in tutte le materie.
Così che, se uno è un asino in matematica e arriva a fine anno con il voto di quattro in tale materia, sarà sufficiente avere sette in altre due materie, quali che siano, per compensare la grave insufficienza.
Tutto ciò, a parere di chi scrive, è fantascienza.
Si tratta, infatti, dell'ennesimo sacrificio di qualità della scuola italiana volto a garantire a tutti il raggiungimento dell'esame di Stato.
La ratio di questa "evoluzione", ma si dovrebbe parlare di scusante, è che si vuole considerare nel complesso la "maturità" del candidato più che la "competenza" in ogni singola materia.
Ma allora perché non abolire del tutto l'esame nozionistico sostituendolo con un mero colloquio di idoneità al vivere secondo i canoni del mondo degli adulti fatto da psicologi e psichiatri?
In fondo, esser maturi non significa necessariamente sapere quanto fa la radice quadrata di due!
In effetti da tempo la scuola italiana ha mostrato dei chiari segnali di cedimento in ossequio a una strampalata, pretesa, modernità didattica.
Le lauree brevi, ad esempio, introdotte con la scusa che così molti giovani sarebbero stati spendibili prima nel mondo del lavoro, sono state un totale fallimento. Prova é che quasi il 100% dei laureati "brevi" si iscrive alla magistrale nella convinzione, non lontana dalla realtà, che le lauree brevi non siano altro che inutili super diplomi.
La farsa dei corsi universitari semestrali, che si riducono a non più di tre mesi (da metà settembre a metà dicembre per il primo "semestre" e da metà marzo a metà giugno per il secondo "semestre") con programmi che, di fatto, sono nominalmente rimasti quelli dei vecchi corsi di laurea annuali. Ci si domanda: come si può comprimere un insegnamento di otto mesi di corso in soli tre? La risposta ovvia e facilmente immaginabile, certamente non a favore della qualità, è di approfondire di meno e correre di più.
La pantomima delle prove Invalsi, che da mero strumento di valutazione dell'uniformità dell'insegnamento offerto dai docenti dal nord al sud della penisola, diviene mezzo d'esame dei ragazzi.
Non si stenta a credere che tra qualche anno basterà comprovare di aver pagato le tasse di iscrizione al quinto anno superiore per aver diritto al diploma!
Chissà, forse chi ha studiato questa "evoluzione" ha pensato che gli ignoranti in fondo vivono più felici poiché inconsapevoli di tante storture.
Del resto non si dice beata ignoranza?
Ma, che si comprenda o meno, lesinare sulla qualità della scuola condanna senza appello la nostra nazione a un progressivo impoverimento culturale e, conseguentemente, economico.
In buona sostanza un popolo più mansueto e (forse) più felice, ma anche con meno quattrini in tasca.

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