Il fiore della vita-in memoria di S. Conese
Profonda tristezza ed intensa partecipazione ha suscitato la notizia del decesso dello scrittore Salvatore Conese, affetto da disabilità grave dal 1990. A causa di un problema ulteriore di salute (una situazione anomala riguardante un'arteria), giunto in modo inaspettato e non prevedibile, Salvatore, pur soccorso molto prontamente in casa dai familiari, e dopo diversi giorni di cure in ospedale, è trapassato nel mese di gennaio. Notizia, quindi, durissima e che ha commosso chi era vicino a Salvatore e che sapeva bene che, nonostante le sue sofferenze di persona colpita da tetraplegia, egli avesse conservato l'amore per la vita e non si aspettasse nè invocasse la morte. Il decesso di Salvatore Conese è avvenuto, quindi, per una naturale fatalità, riguardo la sua causa ultima; tuttavia, non erano state naturali nè inevitabili le ingiustizie che egli aveva subito in precedenza, compresa la troppo misera tutela sociale ottenuta. Dietro la difficile vita con disabilità di Salvatore vi era stata, è utile ricordarlo, una oscura vicenda sanitaria, cui era seguito un chiarificante esito giudiziario: esperienze, estreme, narrate nell'originale e toccante libro "Il fiore dell'agave": rimasto, infatti, semiparalizzato dopo un incidente con un motorino, le possibilità di un recupero, almeno parziale, della parte più provata del fisico di Salvatore Conese erano discrete; una seconda disgrazia, nello stesso anno, il 1990, cui Salvatore sopravvisse contro quasi tutte le previsioni, aveva, invece, fatto precipitare la situazione: una misteriosa caduta da una finestra dell'ospedale, dopo una lite con un infermiere dai modi brutali e disattenti, che lo trattava come "una bambola di pezza", e che, al culmine di una lite, gli aveva anche gridato: "Creperai qui!"…una caduta, inoltre, avvenuta mentre Salvatore non poteva reggersi in equilibrio, essendo emiplegico, da una finestra lontana oltre 10 metri da quella della sua stanza di ospedale, e dopo la somministrazione di un sedativo oggi vietato, che aveva fatto perdere conoscenza all'allora diciassettenne Salvatore. Nonostante, quindi, le incongruenze non chiarite, a lume di logica, della tesi un incidente in cui il personale dell'ospedale non avesse responsabilità, quale che fosse, Salvatore Conese non si è visto riconosciuto un risarcimento: addirittura, egli non era stato sentito neanche una volta da un magistrato, per cui un più approfondito tentativo di chiarimento non era neppure iniziato. Salvatore aveva così dovuto vivere gli anni rimanenti convivendo con una grave forma di paralisi, fino al decesso avvenuto per un ulteriore e non prevedibile problema sanitario, subentrato naturalmente in seguito. Una speranza di fede può quindi riporsi nell'idea di una giustizia superiore che risarcisca le sofferenze di Salvatore, mentre una speranza relativa alla dimensione terrena può e deve essere riferita al continuare a combattere contro le aberrazioni di un uso sbagliato del sistema giudiziario, ed a favore della giustizia sociale, anche in onore della memoria di Salvatore. Del resto, più volte, Salvatore Conese aveva preso pubblicamente posizione contro la protervia connessa ad un uso sbagliato del sistema giudiziario, il cui esito risulta quindi fallimentare, proprio per la non giusta considerazione dei principi del diritto; anche rispetto alle ingiustizie sociali Salvatore Conese si era sempre impegnato, e non solo per se stesso, tanto che stava lavorando alla costruzione di un movimento a favore del diritto e dei diritti, oltre che per una maggiore considerazione delle tutele sociali, che sono parte dei diritti umani. Salvatore Conese diceva di “venire dalla strada”, poiché aveva cominciato presto darsi da fare per guadagnare, ma la sua saggezza poteva essere colta da chiunque. Non sempre la vicenda e l'impegno di Salvatore Conese avevano ricevuto la giusta attenzione: ad esempio, questi era rimasto deluso dalla mancata attenzione del programma della conduttrice Barbara D'Urso, che pure inizialmente aveva promesso visibilità. Tuttavia, la voce di Salvatore Conese, nonostante i pochi mezzi a disposizone, era andata lontano; nel corso di diverse interviste, peraltro, Salvatore Conese si era espresso contro determinate ingiustizie, in modo giustamente tagliente, e mantenendo intatta la freschezza del suo eccezionale entusiasmo e della sua altruistica sensibilità. Salvatore Conese, infatti, era dolce, corretto, e non odiava la vita, nonostante la disgrazia subita; in diverse interviste rilasciate, del resto, emergeva profondamente il suo interesse per il vivere. Nel suo libro "Il fiore dell'agave", inoltre, egli spiegava in modo illuminante quanto vi siano più aspetti in comune di ciò che potrebbe sembrare tra persone con disabilità e senza: infatti, anche chi non soffra di particolari handicap fisici, può essere impotente di fronte ai dolori delle vita, e possano solo variare i gradi dei dolori: chiunque, però, può non avere difesa di fronte al decesso di persone care, davanti allo scorrere del tempo, inarrestabile, e così via… Proprio per questo, egli affermava, non valeva la pena essere arrabbiati per delle sciocchezze. Consolazione e ragione di vita, per Salvatore Conese, erano stati amici fedeli, parenti e familiari, e soprattutto i genitori, Michele Conese e Teresa Delfino che, con puro amore e dedizione senza fine gli sono stati vicini, aiutando i suoi contatti con il mondo esterno, e riuscendo a renderlo, in alcuni momenti, addirittura felice: dandogli vita, secondo quanto ricordava Salvatore in una dedica sul suo volume, due volte, con la nascita ed infondendogli la forza d'animo di andare avanti dopo il dramma del 1990.