Legge elettorale, si rinvia tutto ad aprile, nell’attesa di un accordo

L'approdo in Aula della legge elettorale slitta di un altro mese. Da febbraio si passa a fine marzo. Con la possibilità di poter poi contingentare i tempi del dibattito ad aprile. Il rinvio, deciso dalla Conferenza dei Capigruppo della Camera, non desta troppe sorprese e dimostra ancora una volta, plasticamente, come un'intesa tra le forze politiche su uno dei temi cardine della legislatura, come quello della legge elettorale, tardi a venire. È vero che, tecnicamente, per dare il via ai lavori in Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio, si aspettava anche la presentazione del disegno di legge di Forza Italia, che punta più  sull'idea di coalizione che di partito. Ma in molti nell'opposizione, a cominciare dal M5S, sono pronti a scommettere che si tratti solo dell'ennesima “melina” e che alla fine non si farà «proprio nulla». Il sospetto è che si andrà al voto con l'Italicum, così come è stato corretto dalla Consulta, magari accompagnato da un decreto che introduca questioni come quella della “parità di genere”. Cioè, con un sistema proporzionale puro che, dopo la “bocciatura del maggioritario” da parte della Corte Costituzionale, rispecchierebbe al meglio la frammentazione del quadro politico che si è determinata, anche con la recente scissione del PD. In attesa che si scoprano davvero le carte è polemica su tutto. Tanto “per far credere”, come si ironizza al Senato, “che comunque l'attenzione resti alta”. Il M5S rivendica di essere stato il solo ad impuntarsi perché si calendarizzasse il provvedimento, mentre il PD smentisce e assicura che in Conferenza di Capigruppo la decisione sia stata presa in maniera corale. C’è poi lo scontro sulle audizioni. Sempre i 5 Stelle contestano, anche via “twitter”, che ne siano state disposte circa 40, mentre i Democratici precisano che loro ne hanno chieste “appena 3” e che comunque tutti saranno ascoltati solo in due giornate. Quindi “tanto rumore per nulla”. E se a Montecitorio, nonostante i sospetti di «melina», infuria il dibattito, al Senato invece cala il silenzio e si resta in attesa. Di cosa? Che nella Commissione Affari Costituzionali, rimasta orfana di Anna Finocchiaro, ora al Governo, si trovi finalmente un equilibrio politico che consenta di eleggere un nuovo presidente. E la diaspora del «Movimento Democratici e Progressisti», il nuovo gruppo nato a sinistra del PD, non sembra certo semplificare le cose. Essendo 14, infatti, potrebbero rivendicare la presenza in Commissione di due componenti e non di uno solo. E nella maggioranza, prima di avanzare anche un solo candidato,  si preferisce aspettare. Quanto, non si sa. Tra i pochi a dire apertamente che sul fronte legge elettorale “non cambierà nulla”, è il Segretario della Lega, Matteo Salvini, che annuncia già un simbolo uguale in tutta Italia. “Non abbiamo grandi grafici né soldi da spendere su studi”, dice, “lo faremo noi a matita quando sarà il momento giusto”. Ostenta ottimismo, invece, Renato Brunetta, che parla di “tempi brevi” per il dibattito della riforma elettorale e ipotizza che “possa essere approvata anche al Senato entro l'estate”.

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