L’Europa del trattato di Roma sessant’anni dopo

Era il 25 marzo 1957 quando a Roma i rappresentanti di sei paesi firmarono un accordo che prevedeva la progressiva abolizione dei dazi sulla libera circolazione delle merci.
Era la nascita della CEE, la Comunità Economica Europea.
Tale accordo interveniva dopo che sei anni prima le stesse nazioni avevano fruttuosamente sottoscritto un altro trattato che creava l'Europa unita del carbone (la CECA), con l'intento di favorire la stabilità e agevolare gli scambi commerciali di tale preziosa fonte energetica dell'epoca, in un'area omogenea dal punto di vista culturale come quella europea.
Insomma, l'omogeneità culturale delle popolazioni europee si sperava potesse essere la premessa anche per una omogeneità economica e quindi sociale.
Tuttavia già a metà degli anni '50 era evidente che dal punto di vista economico non tutti i paesi europei avrebbero potuto godere delle stesse risorse e quindi l trattato di Roma prevedeva programmi specifici in sostegno delle regioni più povere, al fine di bilanciare gli effetti negativi che il libero scambio di beni e servizi poteva causare loro.
Nel '92 il trattato di Maastricht ha sostituito quello di Roma ed introdotto l'Unione Europea. Successivamente Schengen ha rimosso fattivamente le frontiere interne e, nel 2002, l'euro è divenuta la moneta unica del vecchio continente.
Oggi, l'attenzione si è spostata verso l'unificazione delle politiche estere e di sicurezza e da poco è nata l'Eurogendfor, ossia l'embrione dell'esercito comunitario.
Dopo sessant'anni dal trattato di Roma i paesi aderenti alla nuova entità politica continentale sono passati da sei a ventotto e i cittadini interessati da 180 milioni a ben oltre 500 milioni ma non tutti gli obiettivi politici sono stati raggiunti.
Sicuramente, l'Europa ha vissuto uno dei periodi di pace più lunghi della sua storia al punto che sono addirittura passate ben due generazioni senza che sanguinose guerre, ogni pochi anni, interessassero le nazioni europee.
Tuttavia siamo ancora ben lontani da una reale unificazione economica e, soprattutto, sociale.
Alcuni, sulla base delle diverse velocità economiche che si rilevano nelle differenti parti d'Europa, sostengono che le aree meno ricche finiscono per rimanere strozzate dall'austerity che le zone con più risorse riescono a sopportare. In questo senso, auspicando il ritorno delle monete nazionali, la moneta unica diventa il parafulmine dei loro strali.
Problemi come disoccupazione e costo del lavoro, infatti, sono ben lontani dall'essere risolti con la conseguenza che, sia in termini di busta paga ma anche di welfare, gli operai tedeschi ricevono un trattamento ben diverso dalle maestranze di paesi come la Grecia o anche l'Italia.
Analoghi problemi di non integrazione sono evidenti circa le politiche sociali. Temi come la gestione dei rilevanti flussi migratori, infatti, sono gran lunga dall'essere affrontati in modo davvero comunitario per cui nazioni, tra l'altro sono proprio quelle maggiormente in difficoltà dal punto di vista economico, sono quelle che si sobbarcano i maggiori influssi negativi dei migranti.
Insomma, se da un lato è vero che il trattato di Roma ha consentito un lungo periodo di pace militare, è anche vero che le specificità locali e i differenti pesi specifici economici dei singoli paesi fanno si che la percezione di un Europa davvero unita, idea certamente lodevole sul piano delle intenzioni, sia invece fallace dal punto di vista attuativo.
Del resto, senza andare troppo lontano, già nella stessa nostra Italia sembra che vi siano ancora diverse velocità e la questione meridionale non appare davvero ancora del tutto risolta.

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