L’Italia penultima in Europa per numero di laureati ma (forse) ultima in qualità
Una recente statistica (fonte Eurostat) indica la nostra Nazione come uno dei fanalini di coda in Europa, meglio solo della Romania, per quanto riguarda il numero di laureati annui che conseguono l'ambito titolo entro i trent'anni.
Tuttavia il numero dei dottori sarebbe raddoppiato rispetto al dato di quattordici anni fa, quando vi erano ancora gli influssi del precedente ordinamento universitario che prevedeva solo percorsi lunghi a ciclo unico.
Apparentemente un gran risultato, pur se rimaniamo in fondo alla classifica, ma che non dice nulla sulla effettiva qualità e portata dell'odierno titolo accademico.
La sensazione, infatti, ė che la riforma universitaria che ha introdotto le così dette lauree brevi, giustificata a suo tempo anche perché avrebbe consentito ai giovani un più rapido ingresso nel mondo del lavoro, ha avuto come risultato solo il miglioramento del dato statistico di chi riesce a laurearsi entro i trent'anni ma nulla dice in ordine alla qualità degli attuali dottori rispetto a quelli vecchio ordinamento e neppure riferisce che la rincorsa ai risultati conseguiti da nazioni europee, ove il sistema scolastico e universitario funziona meglio in quanto fondato su basi di maggiore concretezza professionale, è un obiettivo solo numerico ma non sembra premiare un reale miglioramento della qualità della preparazione degli attuali neo dottori.
Non si offenda nessuno ma si deve far notare che solo in Italia si assiste all'attribuzione del titolo accademico di dottore già al termine del primo ciclo di studi universitario mentre in altri paesi si parla di baccellierato e l'appellativo di dottore si consegue solo dopo aver conseguito la specializzazione e almeno un dottorato di ricerca. A ben vedere, infatti, non si capisce in cosa siano "dotti" gli attuali laureati di primo ciclo, ossia quale profondità di conoscenza della propria materia possano vantare.
Infatti, la percentuale dei laureati triennali che si ferma e trova lavoro senza continuare con la specialistica è davvero minima e ciò illustra, meglio di tante promesse fasulle, quale sia il fallimento nella sostanza dell'attuale sistema universitario rispetto al precedente e quale sia la percezione della sua utilità anche fra i giovani. Nessuna collegamento col mondo del lavoro e programmi didattici lasciati praticamente uguali a quelli del vecchio ordinamento ma da conseguire in tempi ridicoli (basti pensare che oggi l'insegnamento delle materie segue un ciclo semestrale, il che significa all'atto pratico non più di tre mesi, mentre una volta si poteva approfondire gli argomenti in un tempo più che doppio) lasciano perplessi sulla effettiva efficacia didattica del nuovo ordinamento universitario rispetto al precedente.
Insomma un giocare con le parole da parte nostra che non ci ha neppure consentito di scalare le classifiche del numero di laureati per anno rispetto alle altre nazioni europee mentre l'altisonante sbandierato dato del raddoppio dei laureati rispetto a quattordici anni fa è in realtà un miglioramento ottenuto solo sulla carta, conseguito col trucco normativo di aver chiamato un diploma universitario con l'altisonante nome di laurea, piuttosto che una effettiva marcia in più data ai giovani.