Comey accusa Trump

“La mattina del 30 marzo il presidente mi chiamò all’Fbi. Descrisse l’inchiesta sulla Russia come “una nuvola” che stava compromettendo la sua capacità di agire nell’interesse del Paese. Disse che non aveva nulla a che fare con la Russia, non era stato con prostitute in Russia e aveva sempre presunto di essere registrato quando era in Russia. Mi chiese cosa potevamo fare per alzare la nuvola”.   
In queste parole, che l’ex capo dell’FBI James Comey ha pronunciato durante la sua audizione al Senato, potrebbe esserci la prova che Trump ha cercato di ostruire la giustizia. Lo stesso reato che in sostanza era costato la presidenza a Richard Nixon. Nel frattempo il capo della Casa Bianca ha nominato l’ex viceministro della Giustizia nell’amministrazione Bush, Christopher Wray, come nuova capo dell’Fbi, nella speranza di stabilizzare l’agenzia e sviare l’attenzione.  
Comey è stato chiamato a testimoniare davanti alla Commissione Intelligence del Senato, per discutere l’inchiesta sui presunti rapporti tra la campagna elettorale di Trump e la Russia e le circostanze del suo licenziamento. In origine l’interesse era concentrato sui tentativi fatti da Mosca per condizionare il voto, in particolare attraverso gli hacker che avevano penetrato gli archivi democratici. Questi attacchi ormai sono stati confermati e resta da capire se c’era complicità o coordinamento con i repubblicani. Nel frattempo, però, i tentativi fatti da Trump per bloccare l’inchiesta, che lo ha costretto a licenziare il consigliere per la sicurezza nazionale Flynn, sono diventati potenzialmente ancora più dannosi per il presidente.
Nelle sette pagine di testimonianza, Comey rivela di aver avuto tre incontri e sei telefonate con Trump. Un fatto molto inusuale, capace di mettere in pericolo l’indipendenza dell’FBI, visto che con Obama ne aveva avuti due in tutto il mandato. Il primo incontro era avvenuto il 6 gennaio alla Trump Tower e in quella occasione Comey aveva rivelato al presidente eletto l’esistenza di un dossier che lo accusava di comportamenti vergognosi, tra cui aver frequentato prostitute in Russia. “Non avevamo allora un’inchiesta di controspionaggio aperta su di lui e quindi con i vertici dell’FBI concordammo che potevamo dirglielo”. Il 27 gennaio Trump aveva invitato Comey a cena alla Casa Bianca, prima con la famiglia e poi soli. “Il presidente cominciò chiedendomi se volevo restare come direttore dell’FBI”. Comey ebbe l’impressione che in questo modo Trump volesse costringerlo a chiedergli di confermarlo, diventando quindi un suo uomo. “Ho bisogno di lealtà, mi aspetto lealtà”, aggiunse Trump. “Da me avrà sempre onestà”, replicò Comey. Il presidente allora chiese “onesta lealtà” e il direttore dell’FBI pensa che su questo termine ci sia stato un malinteso, che però non aveva chiarito. Quindi Trump aveva chiesto di aprire un’inchiesta per smentire il rapporto infamante, ma Comey lo aveva scoraggiato.
Il 14 febbraio, poi, il capo dell’FBI era andato alla Casa Bianca per un briefing sul terrorismo, e alla fine il presidente gli aveva chiesto di restare soli nella stanza: “Voglio parlare di Michael Flynn”, che si era dimesso il giorno prima. “È una brava persona, ne ha passate tante. Io spero che tu possa vedere chiaro e lasciar andare questa cosa”. Quindi Trump aveva chiesto di rivelare che lui non era sotto inchiesta. Comey aveva ricevuto l’impressione che Trump gli stesse chiedendo di chiudere l’inchiesta su Flynn, non l’intera indagine sulla Russia, ma questo poteva già essere inteso come un tentativo di ostruire la giustizia.  
Il 30 marzo era seguita la telefonata sulla “nuvola”, e a quel punto Comey aveva deciso di riferire la conversazione al viceministro della Giustizia Boente, perché a lui toccava gestire il rapporto con il capo della Casa Bianca. L’11 aprile il direttore dell’FBI aveva ricevuto un’altra telefonata da Trump: “Chiedeva cosa avevo fatto riguardo la sua richiesta di far uscire che non era sotto inchiesta. Gli dissi che ne avevo parlato con Boente. Lui rispose che “la nuvola stava intralciando la sua capacità di fare il proprio lavoro”. Quindi aveva aggiunto: “Io sono stato molto leale con te, molto leale; noi abbiamo avuto quella cosa che sai”. Comey non aveva chiesto a cosa si riferisse, probabilmente alla riapertura dell’inchiesta sulle mail di Hillary Clinton, e gli aveva suggerito di parlare con Boente: “Quella è stata l’ultima volta che ho parlato con Trump”. Meno di un mese dopo, il 9 maggio, il presidente lo aveva licenziato.

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