L’America vuole impedire un corridoio sciita dall’Iran al Libano

La corsa per la presa di Raqqa dietro lo scontro Washington-Mosca, queste le indiscrezioni nate a seguito dell’abbattimento, da parte di un caccia statunitense, di un aereo siriano. La distruzione del Califfato è ancora in corso ma già si è aperta la nuova fase nel duello fra Stati Uniti e Russia, in Medio Oriente. Washington vuole allargare la zona di influenza dei curdi a tutto l’Est siriano, per impedire il congiungimento fra l’esercito di Assad e le forze sciite irachene lungo il confine fra Siria e Iraq. Con l’Isis in ritirata sempre più rapida, la priorità ora è impedire che si realizzi un “corridoio sciita” dall’Iran al Libano, lungo l’autostrada che unisce Baghdad e Damasco.  A Nord-Est, nella provincia di Raqqa, le Syrian Democratic Forces, dominate dai guerriglieri curdi e appoggiate da forze speciali e aerei statunitensi, sono entrate nei sobborghi di Raqqa e continuano a premere verso Sud. Nella direzione opposta, lungo il confine con la Giordania e l’Iraq, i ribelli addestrati da Usa e Gran Bretagna cercano di avanzare verso Nord e verso la città di Deir ez-Zour. Dopo la conquista di Raqqa, sarà proprio attorno a questo centro che si giocherà la partita decisiva per gli assetti in Mesopotamia.  
Per strapparlo all’Isis e riprenderselo prima degli altri, il governo siriano ha lanciato una potente offensiva su tre direttrici, dopo aver stipulato tregue con i ribelli su tutti gli altri fronti. A Sud, reparti dell’esercito regolare, milizie irachene e libanesi, puntano verso il posto di frontiera di Al-Tanf, in mano ai ribelli filo-Usa. Il Pentagono ha reagito. Tre raid nel giro di pochi giorni li hanno costretti a fermarsi. Gli uomini di Assad hanno allora aggirato Al-Tanf e raggiunto comunque il confine con l’Iraq.  
Nella zona centrale, da Palmira, le forze speciali di Damasco tagliano veloci il deserto siriano e sono ora a settanta chilometri da Deir ez-Zour, dove da tre anni resiste una guarnigione assediata dagli islamisti. A Nord, invece, l’esercito procede verso Raqqa e punta a impossessarsi della base militare di Tabqa, ora in mano ai curdi, per poi avvolgere la capitale dello Stato islamico sul lato meridionale e proseguire lungo l’Eufrate, ancora verso Deir ez-Zour. È qui che si sono verificati gli scontri più gravi, a terra e nel cielo, con l’abbattimento domenica sera di un bombardiere siriano da parte di un caccia americano.  
È stato un duello aereo, il primo dal 1999, quando l’aviazione americana era impegnata contro quella serba sul Kosovo. Il Su-22 siriano ha sganciato una bomba su una postazione curda vicino a Tabqa, i curdi hanno chiesto assistenza e un F-18 Super Hornet è intervenuto, agganciando il Sukhoi e abbattendolo con un missile aria-aria. Washington sostiene che l’aereo americano ha usato il canale radio per le comunicazioni con russi e alleati, che serve proprio a evitare incidenti di questo tipo, e invitato l’avversario a ritirarsi. Damasco però nega che il suo pilota sia stato avvertito e afferma che la bomba non sia stata sganciata sui curdi, ma su una postazione dell’Isis.  
Fatto sta che lo scontro nei cieli ha fatto precipitare la situazione anche a terra. L’esercito siriano ha cercato di sfondare le linee dei curdi, per recuperare il pilota, il capitano Ali Fadh, a quanto pare già morto. Ne è scaturita una battaglia con i guerriglieri, la più dura fra curdi e siriani in sei anni di guerra civile, mentre la Russia alzava i toni con l’America, e sospendeva il programma di “de-conflicting” (lo scambio costante di informazioni sulle attività dei propri jet sopra la Siria). “A questo punto”, –  ha precisato il Ministero della Difesa – “a Ovest dell’Eufrate, droni e aerei della coalizione saranno trattati come bersagli”.  
Significa che i caccia e i sistemi anti-aerei russi minacciano i jet americani. E che esercito siriano e curdi ora sono in lotta con l’appoggio diretto delle aviazioni e delle forze speciali della potenza di riferimento. In prospettiva, un “nuovo Vietnam”. Washington ha ribadito che continuerà a fornire supporto agli alleati sul terreno,  ma ha anche precisato che gli aerei saranno riposizionati. Vale a dire non si spingeranno oltre la “linea rossa” tracciata da Mosca. In questo momento il Pentagono è impegnato con decine di raid al giorno a Raqqa per sostenere l’avanzata dei curdi e cerca di evitare un’escalation. Ma le tensioni sono sempre più incontrollabili e la battaglia per la conquista dell’Est siriano rischia di rallentare la distruzione dello Stato Islamico. Proprio quello che spera il califfo Abu Bakr al-Baghdadi, se è ancora vivo.

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