Caro signore, questo caffè è una ciofeca! Dagli orti di guerra alla pratica dei surrogati
In un periodo di grande caos politico internazionale, di pericolosi rigurgiti ideologici e di onerose sopravvivenze giornaliere, spesso l’unico sollievo arriva da una risata e da un caffè. Quell’italica arte del prendersi in giro, di ridere anche delle più penose condizioni di vita, è probabilmente la virtù più conosciuta della nostra cultura e del nostro modo di essere “italiani”. Un’arte che fu ampiamente usata anche durante gli anni della guerra, quando tra bombe, propaganda, scarsità di cibo e distruzioni varie, la vita dei nostri nonni poteva essere alleggerita solo con un po’ di sano sarcasmo.
Già prima della guerra il fascismo, nella sua perenne contrapposizione al mondo, aveva portato «…un lembo di vita rurale […] nel cuore delle nostre città…» per combattere la famosa battaglia del grano, una piccola guerra commerciale entrata prepotentemente nel carrello della spesa e nelle tradizioni più intime degli italiani durante il lungo “ventennio”. In quel periodo le italiche virtù, messe davvero a dura prova, subirono numerosi torti, e se con la trovata degli orti di guerra perfino le nostre regge si trasformarono in coltivazioni di grano, patate, legumi e girasole, una delle più grandi tragedie fu l’averci tolto l’oro nero, quel liquido magico che diventa ragion di vita la mattina, il caffè appunto, e che da sempre regola perfino i rapporti sociali e commerciali da nord a sud, un tripudio di odore e amicizia tutta condensata in quella fumante tazzina bianca. Bisogna ammetterlo, il caffè scandisce spesso i ritmi della giornata e asfalta problemi che nemmeno i migliori politici riescono a risolvere, ma prima e durante la guerra, oltre ad una sempre più palpabile penuria di carne e altri generi fondamentali per la sopravvivenza, anche al caffè toccò il torto della sostituzione con i surrogati. Impensabile sostituirlo, direte voi. Cosa poteva mai assomigliare a quel profumo che diventa richiamo d’amore per la propria terra, per le proprie tradizioni, per il proprio Paese ? Ebbene, per la Patria anche il caffè d’orzo, quello di cicoria, o di ghiande tostate era, e doveva essere, un richiamo d’amore per la propria terra. Immaginate le scene, ben riportate dal principe della risata Antonio De Curtis (Totò), di massaie e ristoratrici amorevoli che rifilano a mariti e clienti una bella tazzina di caffè surrogato – Ma questo caffè è una ciofeca! – e come ne “I due marescialli”, la ristoratrice risponde – E’ surrogato. Orzo, caffè, lupini… – E ALLORA DITELO CHE E’ UNA CIOFECA!
Ma poi gli italiani moderni, abituati anche ai nuovi caffè aromatizzati, sanno cos’è la ciofeca ? In primis, dobbiamo ricordare che il termine ciofeca si riferisce alla parte inferiore del carciofo, porzione di pianta utilizzata come eccezionale disintossicante epatico, usata per farne dei decotti non particolarmente gustosi. Per estensione, come riportato anche da numerose enciclopedie, il significato rende il concetto di bevanda cattivissima, disgustosa e quindi vomitevole. Inoltre, essendo appassionato di cultura iberica, devo segnalare la curiosa ipotesi che il termine provenga da una deriva linguistica del termine chufa, ovvero di una mandorla spagnola con la quale, soprattutto a Valencia, si fa un’orzata rinfrescante buonissima e che invito tutti a provare almeno una volta nella vita. Certo questa ipotesi contrasta non poco con il significato negativo che ha preso in Italia, ma le trasformazioni linguistiche non necessariamente assegnano il concetto originario ai termini derivati.
La ciofeca, tanto usata da Totò e nei film italiani del periodo post bellico, è semplicemente il caffè che non sa di caffè – questa è una schifezza! – , un liquido di colore scuro che simula, finge, surroga appunto il sapore e l’odore dell’oro nero, ma che è davvero una pessima imitazione. Oggi, anche a sfottò tra amici, il termine si estende spesso ai cibi e alle bevande in genere, e non è raro incontrare qualche persona che ci sconsiglia un ristorante dove, secondo la personale esperienza, – è tutto una ciofeca -. Ma ora, cari amici lettori, ce lo prendiamo un bel caffè?