La regina delle minestre: a menesta ‘mmaretata
Tipica della tradizione gastronomica napoletana, la minestra maritata è l’ospite d’onore della tavola come piatto tipico delle festività pasquali e soprattutto natalizie. Il curioso nome deriva dal fatto che gli ingredienti di carne e verdure risultano “maritati”, sposati. Si tratta di un connubio abbastanza variegato dal momento che, secondo la ricetta più antica, le verdure necessarie devono essere almeno sette (broccoli da minestra e quelli scuri, la cicoria selvatica, le torzelle, la verza, la scarola, la borragine) e le carni molte di più (le tracchie, le cotiche, il guanciale e le orecchie, l’osso di prosciutto, la salsiccia di polmone e la ‘nnoglia, una sorta di salame nel cui budello sono raccolti tranci di ventre e stomaco del maiale). Le origini di questo gustosissimo piatto affondano nel passato più remoto. Difatti, se ne ritrovano delle tracce in un testo di letteratura gastronomica del periodo romano, il “De re conquinaria” di Marco Gavio Apicio. Questa tradizionale pietanza partenopea però sembrerebbe essere arrivata in Italia solo nel XIV secolo con gli spagnoli, presso i quali vi era ed è tuttora la consuetudine di preparare la cosiddetta Olla potrida, propriamente “pentola imputridita” consistente in una minestra composta di carni varie, salsicce, lardo, legumi e spezie. Della minestra maritata, anche nota come Pignato grasso, ne esistono delle varianti. La versione cinquecentesca del Marchese G.B.Del Tufo prevede, la mescolanza, di salsicce di vario tipo, sopressate, pancetta, prosciutto, muso di vitello, piede di porco, carne secca, un orecchio di maiale salato, formaggio, finocchi ed anice. Quella ottocentesca di Ippolito Cavalcanti prevede l’utilizzo di un pezzo di carne di giovenca grassa, un cappone imbottito, una gallina paesana, un salsiccione, una fetta della parte genitale della scrofa (verrinia), quattro capi di salsicce cervellate, un pezzo di cacio nostrano, ossa mastre, spezie e verdure scelte a piacere. Si conclude il pezzo con un piacevole aneddoto del pittore e poeta seicentesco napoletano, Salvatore Rosa, il quale racconta che la minestra maritata, piatto da cantina, veniva divorata dal guerriero e dal cavaliere dopo la battaglia, perché questa minestra era un piatto caldo che dava forza e coraggio.