Rumori di vicinato. Il condomino dev’essere risarcito dal titolare dell’attività rumorosa
Tempi duri per tutte quelle attività rumorose che infastidiscono e turbano, in quanto superano la soglia di normale tollerabilità, l’esistenza dei vicini. Per la Cassazione civile, con l’importante ordinanza 20445/17 pubblicata oggi, dev’essere, infatti, risarcito il condomino se le immissioni illecite del vicino compromettono il normale svolgimento della vita familiare e personale all’interno della propria abitazione, anche se non è provata alcuna lesione della salute. Il danno non patrimoniale conseguente alle immissioni che superano la soglia della normale tollerabilità dev’essere risarcito indipendentemente dall’esistenza di un danno biologico documentato. Nella fattispecie, una donna proprietaria e residente in un appartamento che si trovava sul piano al di sopra di una falegnameria aveva citato in giudizio sia il proprietario che il conduttore del locale sottostante chiedendo sia l’inibizione delle immissioni rumorose che il risarcimento dei danni subiti. Il tribunale di Roma aveva deciso la causa riconoscendole un risarcimento di ben 10 mila euro anche perché nel frattempo la falegnameria aveva adottato misure di contenimento in ragione di alcune ordinanze cautelari dello stesso tribunale. Tale decisione, era stata completamente ribaltata dalla Corte di appello della Capitale che aveva ritenuto che la donna non avesse diritto ad alcun ristoro economico perché il danno poteva essere risarcito solo se fosse stata provata la lesione alla salute non ritenendo, al contrario, risarcibile, la minore godibilità della vita. La Suprema Corte con una decisione assai significativa, ha però nuovamente rovesciato il verdetto di secondo grado: secondo gli ermellini, infatti, la corte territoriale fa riferimento a precedenti giurisprudenziali remoti e superati dai più recenti orientamenti ormai consolidati secondo i quali «il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita personale e familiare all’interno di un’abitazione e comunque del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi». La prova del pregiudizio subito può essere, pertanto, fornita anche con presunzioni semplici e nozioni di comune esperienza. La corte, quindi, accoglie il ricorso e cassa la sentenza della Corte di appello decidendo nel merito, riconoscendo per l’appunto il risarcimento del danno che viene liquidato nell’importo di 10 mila euro, oltre interessi, in favore dell’inquilina oltre al pagamento delle spese processuali del primo grado di giudizio.