Attacco preventivo o forze speciali: il dilemma USA

Le dichiarazioni aggressive di Trump sulla Corea del Nord hanno sorpreso i suoi stessi collaboratori, che il giorno dopo hanno dovuto rincorrerlo per elaborare una linea coerente. Un analista le ha definite “minacce in cerca di una strategia”, confermando i dubbi espressi dal senatore McCain: “Quando parli così, poi devi essere pronto a far seguire le parole ai fatti”. La nuova linea rossa di Trump però è ormai tracciata e, a posteriori, il dipartimento di Stato e il Pentagono stanno seguendo due strade per farla rispettare: sfruttare la durezza del presidente per convincere soprattutto la Cina ad agire e preparare i piani di attacco se la diplomazia fallisse. L’amministrazione finora è stata divisa su Pyongyang. Il consigliere per la Sicurezza Nazionale, McMaster, e il segretario alla Difesa Mattis sono inclini all’intervento, mentre il consigliere Bannon è contrario,   perché  considera Kim Jong-un come parte del più ampio problema che Washington deve risolvere con Pechino. In mezzo c’è il capo della diplomazia Tillerson, che era in visita nella regione e aveva lanciato segnali conciliatori, dicendo ai nordcoreani che non sono nemici degli Usa e invitandoli al dialogo. Trump però ha deciso per un’accelerazione, sull’onda della reazione istintiva provocata dall’articolo del Washington Post, riguardo le mini atomiche montabili sui missili. Tillerson ha giustificato le dichiarazioni del presidente con la necessità di farsi sentire da un leader che non ascolta il linguaggio della diplomazia. Messaggio inviato a Pyonyang, ma soprattutto a Pechino, affinché aumenti la pressione su Kim. Quindi Mattis ha aggiunto, per chiarire, che in caso contrario il Pentagono ha i piani pronti per cancellare il regime.  Un missile lanciato dalla Corea del Nord arriverebbe alle Hawaii in 20 minuti, lasciando un margine molto limitato per le difese. Quindi è necessario essere pronti all’attacco preventivo.  Vediamo, per il momento, quali sono le forze in campo. Gli USA, in Corea del Sud, hanno già schierato 28.500 soldati, 140 carri armati M1A1, 170 Bradley, 100 aerei F16 e A10, Patriot PAV 2 ed il sistema di difesa missilistica Thaad; in Giappone, 54.000 soldati, 14 navi da guerra, 1 portaerei, 100 aerei F15, F16 e MV-22 Osprey; e sull’isola di Guam, 4.000 uomini, 4 sottomarini, 6 bombardieri B52,  più i due B-1B supersonici appena trasferiti.  
La Corea del Nord, dal canto suo, dispone di 1.300 aerei, 300 elicotteri, 430 navi da guerra, 250 anfibi, 70 sottomarini, 4.300 carri armati, 2.500 blindati, 5.500 lanciarazzi, 4.000 pezzi artiglieria, schierati lungo la zona demilitarizzata con il Sud, più migliaia di soldati.
Il vantaggio americano è appare netto, anche perché, secondo un’analisi pubblicata da Stratfor, il Pentagono potrebbe rapidamente trasferire nella regione 10 bombardieri B-2, armati con bombe GBU-31 da 16.900 chili di esplosivo o bombe GBU-57 Massive Ordnance Penetrator da 13.600 chili, insieme a 24 F-22 con bombe GBU-32 da 450 chili e le navi armate con i Tomahawk.  
L’ex ambasciatore americano all’Onu John Bolton, candidato al ruolo di Consigliere per la Sicurezza Nazionale, ha scritto, sul Wall Street Journal, che il Pentagono ha tre opzioni: la prima, un attacco preventivo condotto con bombe e sabotaggio elettronico, per distruggere l’apparato missilistico, nucleare e convenzionale di Pyongyang;  la seconda, aspettare che Kim prepari un altro test e colpire per impedirlo; la terza, usare le forze speciali per decapitare il regime. Strafor ha elaborato il primo scenario, sostenendo che l’attacco iniziale partirebbe dai bombardieri B-2 con gli ordigni capaci di distruggere i bunker, seguiti dagli F-22 e dai Tomahawk, per i colpi di precisione. In questo modo gli Usa potrebbero annichilire in contemporanea le capacità missilistiche, nucleari e convenzionali di Pyongyang. Nulla però darebbe la garanzia di evitare la rappresaglia di Kim, che prima di Guam prenderebbe di mira i 25 milioni di persone che abitano nell’area metropolitana di Seul, appena 35 miglia a Sud del confine. Ancora troppe incognite!

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