Un Nobel sotto le bombe

Il premio Nobel per la Pace del 2017 è stato assegnato all’ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons), un’associazione no profit con sede a Ginevra fondata nel 2007 per promuovere l’adesione o la piena implementazione del Trattato per la proibizione delle armi nucleari, il primo trattato internazionale legalmente vincolante per la completa proibizione delle armi nucleari. Il problema di fondo è che il suddetto trattato non è stato firmato dalle maggiori potenze nucleari del mondo, a partire dagli Stati Uniti e dalla Russia, fino ad arrivare ai Paesi dell’Unione Europea e alla Cina. Il mondo in cui viviamo non è certamente un mondo di pace; e risulta decisamente difficile cercare degli spiragli della stessa nel corso vorticoso degli eventi. Rifacendoci alle parole usate da Papa Francesco qualche anno fa, possiamo ben dire di trovarci nel corso di una “Terza Guerra Mondiale”, combattuta in tutte le parti del mondo. Ma guerra non è solo un canonico conflitto armato; guerra è anche ciò che essa provoca. Ormai in tutto il mondo ci sono vittime di questo generalizzato conflitto. Sono vittime di questa guerra i troppi profughi che ogni anno muoiono nel tentativo di cercare un posto migliore per vivere; sono vittime di questa guerra tutti coloro che vedono repressa la propria libertà di espressione con la violenza; sono vittime di questa guerra tutti coloro che sognavano un mondo più bello e si ritrovano davanti ad un nauseante marciume. Esistono ancora ovviamente dei conflitti cosiddetti canonici, come l’ormai tristemente nota guerra siriana, che da quasi sei anni sta mietendo centinaia di migliaia di vite, complice anche l’assenza ingiustificabile di quelle organizzazioni internazionali che dovrebbero tutelare la vita di ogni essere umano e che invece non intervengono mai direttamente, nonostante la violenza inaudita del conflitto. Ma esistono dei conflitti violentemente verbali, conflitti tra pazzi che potrebbero portarci nel baratro nel giro di pochi anni, a cui il mondo sta assistendo con il fiato sospeso, senza la forza di poter reagire. Ed il conflitto nasce anche in quelle società cosiddette democratiche, in cui la pace, almeno sulla carta, è garantita, ma che alla prima opposizione pretendono che l’impatto di un manganello abbia più effetto di un fiume di parole. Allora a cosa serve il Nobel per la Pace? Forse a dare speranza a chi non ne ha. Ma in fin dei conti tutto ciò resta solo su un piano formale, come un in un pugno pieno d’aria, finché non ci saranno risposte vere e serie da parte di chi ha davvero il potere di cambiare il mondo e di renderlo migliore.

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